Ho ricevuto un coupon per una notte in B&B e per un anno è stato impossibile utilizzarlo, finché, con Nicola, abbiamo deciso di sfruttarlo per andare a visitare Pompei. A parte le notizie sui crolli e la ridicola recente trasposizione cinematografica per mano dei soliti americani, è un sito di cui si sente parlare molto poco e quindi, prima di partire, ci siamo dati alla lettura sfrenata di documenti e testi al riguardo, per essere in qualche modo preparati. Il sito è immenso, non si riesce a capire la dimensione reale di questa città perduta finché non la si visita, basti pensare che la cinta muraria misura oltre 4km, quanto le mura di Lucca. Di mondo ne ho girato un bel po’ ormai, ma avere i brividi e la pelle d’oca mi è capitato di rado. Aggirarsi fra le case, i negozi, i templi ed i teatri di questa città è un’esperienza mistica, sconvolgente, soprattutto se si lancia ogni tanto uno sguardo al Vesuvio che, vicinissimo, osserva il visitatore come a dire “guarda che cosa ho fatto, attento: posso farlo ancora”. Il colore vivido degli affreschi e degli intonaci, la minuzia dei mosaici ed i livello evolutissimo della struttura urbanistica hanno superato quasi duemila anni in condizioni di straordinaria conservazione. Questo luogo è unico nel suo genere, non esiste al mondo un posto uguale o paragonabile, il valore è inestimabile, eppure le condizioni di gestione sono agghiaccianti. All’ingresso viene fornita una mappa cartacea, graficamente molto ben fatta, ma veramente scomoda ed affatto intuitiva da utilizzare: gli edifici principali sono numerati sulla mappa, ma sul retro sono elencati in ordine sparso, molti numeri non corrispondono ad alcun rimando nella legenda. Non ci sono pannelli informativi, descrizioni, spiegazioni. Se non si è letto qualcosa o non ci si è muniti di una guida autonomamente o di una App per smartphone, si rimane imbambolati senza sapere cosa si sta osservando in realtà. La sorveglianza è praticamente nulla: è possibile camminare su mosaici straordinari, toccare o addirittura scalfire un affresco senza che nessuno se ne accorga e infatti molte pareti sono ricoperte dalle solite scritte e scarabocchi graffiati da decenni di turismo selvaggio (consola solo in parte leggere anche nomi di visitatori stranieri fra i delinquenti). In più, molte fessure e crepe nei muri sono utilizzate come svuota tasche per confezioni di merendine e snack. Infine, sul sito sono presenti gruppi di cani randagi, la maggior parte dei quali, vecchi o malati, giacciono per le strade acciottolate. L’iniziativa di microchipparli tutti e darli in adozione, operata a partire dal 2009 al costo fantascientifico di 100mila euro, è miseramente fallita: i cani microchippati sono stati appena 55, quelli adottati solo 26, e la popolazione canina è triplicata perché il tutto ha fornito lo spunto per nuovi abbandoni. Nella Via dell’Abbondanza è stato fatto un tentativo di affissione di pannelli illustrativi, ma quelli presenti sono scoloriti dal tempo e la plastica che li contiene è così vecchia e opaca che non si riesce a leggervi attraverso. Proprio in questa zona, dopo quasi tre ore di cammino, abbiamo finalmente trovato i sorveglianti: raggruppati assieme in conversazioni calcistiche nel tentativo di ingannare la noia. Il paragone valore/tutela è indecente. L’urgenza è massima.
L’indomani mattina, ancora affascinati da Pompei, abbiamo deciso di andare anche ad Ercolano. Tutti dovrebbero visitare Ercolano, se avessi un figlio sarebbe probabilmente il primo sito archeologico che vorrei mostrargli. Diversamente da Pompei, è molto piccola e concentrata, ma “grazie” alla sua fine improvvisa ed immediata, travolta da un’ondata rovente praticamente subito dopo l’eruzione, è rimasta integra in modo straordinario. Le abitazioni conservano ancora i soffitti, persino il legno delle travi e delle porte è ancora presente, carbonizzato. Qui si è conservata infatti anche la componente organica, restituendo pietanze, animali, persone e persino frutta e radici che ci permettono di sapere praticamente tutto di quella gente, anche la disposizione originale degli ortaggi nei campi o la loro dieta. Ercolano è molto più pulita, probabilmente perché più gestibile e con una mole di turisti inferiore. Abbiamo avuto la fortuna di conversare con un sorvegliante, un signore prossimo alla pensione che lavora qui da oltre trent’anni e che in poche frasi ci ha fatto capire il suo amore assoluto per questo luogo e la sua devozione alla propria mansione. Rientro da questa esperienza con una soddisfazione immensa, la curiosità di approfondire ancora l’argomento e la voglia di ritornare.
Il pomeriggio lo abbiamo dedicato alla nostra prima visita di Napoli, una visita in stile quasi “giapponese” tanto siamo riusciti a fare in poco tempo: Spaccanapoli, il Cristo Velato, Piazza del Gesù, la Funicolare fino al Vomero ed il panorama sul golfo, Via Toledo, Piazza Plebiscito, il Maschio Angioino, la Galleria Umberto I. Ebbene, esistono diverse bellezze in questa città, ma purtroppo, e mi spiace dirlo ma devo aggiungere “come mi aspettavo”, è molto faticoso riuscire a focalizzare l’attenzione su un monumento o su un edificio quando tutto intorno regnano degrado assoluto e sporcizia. Forse qualcuno può riuscire ad incantarsi davanti ad un meraviglioso palazzo ignorando i cassonetti traboccanti e le cartacce che turbinano in strada, io purtroppo non ne sono capace e la mia attenzione è stata distratta per tutto il tempo dall’indecente e fastidiosa mancanza di decoro e civiltà, quindi non porto con me un bel ricordo di Napoli né il desiderio di tornare. Aggiungo tuttavia quella che è stata la sensazione principale: mi è parso evidente che da queste parti viene data pochissima importanza all’aspetto fisico, alla moda o all’estrazione sociale delle persone e questo lo trovo un valore aggiunto molto positivo, una capacità di guardare dietro la copertina del prossimo ed una invidiabile mancanza di complessi esistenziali che invece sembrano essere una condanna irreparabile dalle mie parti.
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