Il presidente ucraino Petro Poroshenko avrebbe offerto a Vladimir Putin le regioni indipendentiste russofone dell’Ucraina orientale: la “proposta indecente” sarebbe avvenuta durante il vertice di Minsk, tenuto lo scorso febbraio proprio allo scopo di risolvere il contenzioso tra Mosca e Kiev che da un anno insanguina il Sud-Est del Paese, ma sarebbe stata respinta seccamente dal presidente russo. A raccontare questo inedito episodio è rivista Forbes, che cita una fonte anonima, la quale avrebbe appreso questa rivelazione-shock proprio da Vladimir Putin. Lo scorso 19 marzo, durante un incontro a porte chiuse con l’Unione degli Industriali e degli Imprenditori russi, Putin avrebbe raccontato questo clamoroso retroscena avvenuto a margine della maratona diplomatica tenuta nella capitale bielorussa tra Russia, Ucraina, Germania, Francia e Gran Bretagna, conclusasi dopo 16 ore di trattativa con un accordo per il cessate-il-fuoco tra Kiev e i separatisti russofoni: «Poroshenko mi si avvicinò e mi disse senza giri di parole: “Prendetevi il Donbass”. Io risposi: “Sei fuori di testa o cosa? Io non ho bisogno del Donbass. Se non ti serve, allora concedigli l’indipendenza”».
Poroshenko inoltre – stando sempre a quanto rivelato dalla fonte anonima a Forbes – avrebbe invitato Putin a farsi carico della situazione finanziaria delle regioni separatiste ucraine: richiesta che il presidente russo avrebbe ulteriormente respinto, spiegando che ciò sarebbe possibile solo se il Donbass entrasse nella Federazione Russa. «Fin quando sarà parte dell’Ucraina, dovranno essere le autorità ucraine a occuparsene», avrebbe ribattuto Putin.
Dal Cremlino giunge un no-comment su queste dichiarazioni, anche se il portavoce presidenziale Dmitrj Peskov ha lasciato intendere che qualcosa di vero ci sia. In una sibillina dichiarazione rilasciata all’agenzia Interfax, Peskov ha parlato di «atteggiamento poco corretto» dei partecipanti al meeting che hanno divulgato contenuti attribuibili al presidente russo: «Sta alle loro coscienze stabilire se hanno detto il vero oppure no», ha glissato.
Anche il presidente dell’Unione degli Industriali Aleksandr Shokhin getta acqua sul fuoco. Interpellato dalla RIA Novosti, il leader degli imprenditori russi ha parlato di una “distorsione” delle parole di Putin da parte del magazine americano: «L’argomento della discussione erano i rapporti tra Russia e Ucraina e l’applicazione degli accordi di Minsk. Non ripeterò le parole del Presidente, ma l’interpretazione che gli ha dato Forbes non è corretta».
Da Kiev un tweet del portavoce del Ministero degli Esteri attribuisce tutto ad un’errata traduzione dall’ucraino da parte di Putin, che avrebbe capito “prendi il Donbass” quando Poroshenko gli avrebbe detto in realtà “va’ via dal Donbass”. Un errore da nulla…
Difficilmente sapremo come sono andate realmente le cose quel giorno a Minsk. Forse Putin ha davvero capito fischi per fiaschi, forse per la stanchezza delle lunghe ore di trattativa, o forse per i primi segnali di qualche altra misteriosa malattia che l’avrebbe colpito… Ma è altrettanto probabile che invece abbia capito benissimo cosa gli stava dicendo Poroshenko e che ci abbia voluto marciare su.
Non è infatti da escludere che il leader ucraino abbia voluto condividere con il suo omologo russo le preoccupazioni sul futuro del Donbass, cercando di coinvolgere Mosca nel processo di ricostruzione della sua economia che, già disastrata prima della guerra, è adesso ridotta ad un cumulo di macerie. Il rilancio economico delle regioni sudorientali è forse la principale gatta da pelare che Poroshenko ha ereditato dal suo predecessore Viktor Yanukovic.
Non bisogna dimenticare che a novembre 2013 l’adesione dell’Ucraina all’Area di Libero Scambio con l’Ue saltò proprio per il Donbass, feudo elettorale di Yanukovic, che aveva posto come condizione per la stipula dell’accordo con Bruxelles l’erogazione di un maxifinanziamento da 167 miliardi di euro per riconvertire le aree depresse del Sud-Est ucraino. Dinanzi al rifiuto dell’Ue, Yanukovic sterzò diritto verso Mosca, sancendo inconsapevolmente l’inizio della rivolta di Piazza Maidan che tre mesi dopo l’avrebbe deposto.