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Porporino, ovvero una felicità senza sesso?

Creato il 07 dicembre 2014 da Amedit Magazine @Amedit_Sicilia

castrati_porporino_by iano (1)di Giancarlo Zaffaroni

Aborro in su la scena / un canoro elefante, 

Che si strascina a pena / su le adipose piante,

E manda per gran foce / di bocca un fil di voce.

Giuseppe Parini, La musica

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La Storia si occupa poco delle arti, particolarmente della musica. Eppure le arti rappresentano in modo profondo e complesso lo stato della civiltà umana, mostrano elementi e punti di vista preziosi per una ricostruzione non banale del passato che cerchi di comprendere il presente e noi stessi, che senza memoria siamo nulla. La storia della musica si occupa di compositori, opere, stili, forme, tecniche, lasciando nell’ombra cantanti, strumentisti e direttori d’orchestra, spesso grandi musicisti, che furono
strumenti essenziali d’interpretazione e rappresentazione. Interessante è la rimozione dell’enorme presenza artistica, sociale e politica dei cantori evirati nel Sei-Settecento in Italia ed Europa. Purtroppo non pare che l’oblio sia causato dal senso di colpa per aver sacrificato alla vanità del bel canto decine di migliaia di ragazzini espropriati del proprio corpo, della personalità e del dominio sul loro futuro. Provenienti perlopiù da famiglie povere, i maschietti di otto-dieci anni dalle belle voci venivano ceduti a istituti religioni, protettori o maestri di canto che, dopo averli evirati in condizioni dolorose, a volte mortali, li avviavano all’istruzione musicale nei Conservatori.

I conservatori di Napoli. Dal XVII secolo queste istituzioni religiose si presero cura degli orfani insegnando loro diversi lavori ma, per soddisfare una sempre maggiore richiesta, si concentrarono sull’istruzione musicale di compositori e cantori. Dai Conservatori uscì anche un numero notevole di compositori che colonizzarono le corti europee: Alessandro Scarlatti, Nicola Porpora, Leonardo Leo, Francesco Feo, Leonardo Vinci, Giovan Battista Pergolesi, Niccolò Jommelli, Tommaso Traetta, Francesco di Majo, Antonio Sacchini, Niccolò Piccinni, Giovanni Paisiello, Domenico Cimarosa per citare i più noti. Dietro i magnifici campioni dell’arte canora come Farinelli c’è una schiera di bambini inconsapevoli e schiavizzati che vissero e morirono nell’ombra. Meno di uno su cento raggiungeva successo e benessere economico, per tutti gli altri c’era posto nei cori delle chiese di ogni ordine e grado. (C’è una certa ironia nel fatto che i Conservatori conservassero tutto tranne l’integrità fisica dei ragazzini-cantori.)

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La chiesa produce castrati. “I papi sono stati i primi che alla fine del XVI secolo hanno introdotto o tollerato nelle loro cappelle i castrati, quando erano ancora sconosciuti nei teatri e nelle chiese italiane. Dopo aver proibito alle cantanti e alle attrici di calcare le scene, dovevano avere completamente perduto il senso della realtà per non rendersi conto che sarebbero stati i castrati ad assumere i loro ruoli” (Peter Browe, gesuita e storico della Chiesa, 1936). La fobia anti-teatrale proseguì proibendo anche agli evirati di esibirsi nei teatri fino alla loro completa chiusura (papa Innocenzo XI, 1699). Cantatrici, attrici e musiciste emigrarono a Venezia dove, grazie alle peculiarità politico-sociali ed alla vivacità artistica della città, la loro attività
venne favorita dagli Ospedali, istituzioni che fin dal XIV secolo furono un luogo di effettiva emancipazione femminile. Nel settecento diverse donne formatesi musicalmente in queste istituzioni divennero concertiste e cantanti famose anche in Europa, inserendosi in un ambito di tradizione maschile consolidata.

Ragioni musicali e qualità delle opere serie. Ci sono anche ragioni musicali per l’affermarsi dei cantori evirati: il passaggio dalla polifonia al canto monodico, l’affermarsi del basso continuo e dell’aria come forma del canto che sarà fondamentale nell’opera lirica. La musica sacra sfruttò l’efficacia del canto monodico per divulgare testi e valori evangelici, e il cantore solista evirato fu usato come strumento di comunicazione di massa: la sua voce soprannaturale suscitava una tale meraviglia da generare veri e propri deliri di massa nei fedeli in occasione di particolari celebrazioni liturgiche. D’altro canto l’opera seria italiana, anche se molto popolare, o proprio per questo, non ebbe particolari qualità artistiche: “L’immensa diffusione dell’opera nel Settecento è spesso sproporzionata al suo reale pregio artistico. La retorica più convenzionale e artificiosa domina i libretti dell’opera seria, che si sforzano di portar sulla scena le grandi passioni e i fatti memorabili dell’antichità. […] Vi signoreggiano elementi extra-musicali: virtuosismo canoro, il famoso bel canto, col ben noto seguito di arbitrii e deformazioni dei cantanti, capricci di prime donne, idolatrie di tenori e castrati, il «divismo», insomma; […] scomparsi quasi del tutto i cori, atrofizzata la funzione dell’orchestra, l’opera diventa un alternarsi monotono di recitativi sempre uguali che nessuno ascolta e di arie incuranti dei valori espressivi del testo, banchi di prova per l’ugola dei virtuosi“ (Massimo Mila).

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Castrazione sacra e travestimento. La castrazione è legata al sacro fin dall’antichità. A Roma, durante le fastose cerimonie primaverili in onore di Cibele i fedeli si flagellavano e mutilavano, le donne fino ad amputarsi uno o entrambi i seni e gli uomini fino alla castrazione. L’evirazione sacrale avvicina al divino, produce una femminilità artificiale che rinforza la potenza spirituale ed extrasensoriale, riconquista la condizione primigenia dell’androgino che ha entrambi i caratteri sessuali. I sacerdoti eunuchi indossavano vesti femminili, come fecero eroi quali Achille ed Eracle. Achille è chiamato nell’isola di Sciro dalla madre Teti che vuole salvarlo dalla profezia di morte a Troia e, in vesti femminili, viene nascosto fra le principesse. L’astuto Ulisse lo scopre portando dei regali, collane, bracciali, profumi e una spada: l’eroe sceglie l’arma rivelandosi e
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supplicando di condurlo alla battaglia. Eracle si scambia le vesti con la regina Omfale quando è alla sua corte come schiavo-amante, mostrando con quanta facilità un uomo forte può lasciarsi travolgere da una donna senza scrupoli oppure alludendo “Ad uno dei più antichi stadi di trapasso dal matriarcato al patriarcato, quando il re, come consorte della regina, ottenne il privilegio di sostituirla nelle cerimonie e nei sacrifici, ma soltanto se ne indossava le vesti” (Robert Graves). E dunque non stupisce che l’Achille in Sciro e il mito di Eracle siano stati i soggetti di diverse opere barocche, né che i castrati interpretassero ruoli di eroi, grandi condottieri o imperatori con le loro voci celestiali, riallacciando radici mitiche, ma anche solleticando istinti omoerotici.

Memorie di un libertino. Nelle sue Memorie Giacomo Casanova racconta della sua attrazione per il castrato Bellino, che però si rivela una ragazza. Le cantanti travestite da uomo non dovevano essere infrequenti se i castrati erano molto più richiesti e pagati di loro. La perspicace ragazza, che indossa addirittura un pene finto, incalza Casanova dicendo “Come può illudersi, intelligente com’è, di poter smettere di amarmi scoprendo che sono uomo?” Invece il dialogo che segue è intriso di ipocrisia ecclesiastica e attrazione omoerotica:

  • Non sarebbe possibile senza dar scandalo invitare a cena a quattr’occhi una bella cantante. Invece si può offrire la cena a un castrato senza che nessuno dica niente. Tutti sanno naturalmente che dopo cena ci si va a letto, ma ciò che tutti sanno viene da tutti ignorato. In fondo si può dormire con un uomo per pura amicizia. Lo stesso non accade con una donna.
  • Vero, monsignore, le apparenze sono salve, e un peccato nascosto è mezzo perdonato, come dicono a Parigi.
  • A Roma diciamo che è del tutto perdonato: peccato nascosto non offende.

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Ragioni del declino. Vi sono ragioni economiche nella diminuzione della povertà e del numero di figli per famiglia, che indusse i genitori a una maggiore salvaguardia dell’integrità fisica dei propri figli maschi. Ragioni culturali nel diffondersi dello spirito illuminista e nell’affermarsi della borghesia come pubblico dell’opera. Il cambiamento epocale è sintetizzato nella celebre battuta di George Bernard Shaw sul melodramma ottocentesco: “un tenore che vuole portarsi a letto un soprano, ma il baritono non vuole”. Un primo elemento musicale fu la riforma gluckiana dell’opera seria, che rimise al centro una drammaturgia coerente che rispetta il testo e la vicenda del libretto, restituì espressività ai recitativi e all’orchestra limitando l’arbitrio dei cantanti. Un secondo elemento è l’affermarsi dell’opera buffa che rappresenta una vita e una morale borghese. I protagonisti della Serva Padrona (1736) – intermezzo buffo di Giovan Battista Pergolesi, prototipo e modello sommo del nuovo stile – sono un serva e il suo vecchio padrone nobile, soprano e basso. Niente eroi o voci celestiali ma un miracolo di freschezza
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e arguzia psicologica, la vita quotidiana fatta di battibecchi, ripicche e inganni, con un lieto fine dove la serva diventa padrona del cuore dell’uomo e della sua casa. Si capisce che l’indignazione aristocratica non fosse solo questione di stile. La Querelle des bouffons scatenata a Parigi dalla musica di Pergolesi durò due anni, in favore della nuova opera si schierarono Jean-Jacques Rousseau e i futuri enciclopedisti, contro i nobili e i musicisti francesi capeggiati da Jean-Philippe Rameau. Nel 1754 Luigi XV bandì i bouffons dai teatri francesi ma questi vinsero comunque.

Il Porporino di Fernandez. Per concludere faccio un passo di lato parlando del bel romanzo Porporino, ovvero i misteri di Napoli di Dominique Fernandez, origine del mio interesse per questo argomento. L’autore finge di aver ritrovato un antico manoscritto e una Nota del curatore all’inizio del libro spiega le ragioni di interesse delle memorie, che hanno ispirato alcuni argomenti sopra citati. Un accenno alla protesta hippy permette di collocare il ritrovamento nel tempo (il libro uscì in Francia nel 1974). Non c’è perfetta corrispondenza fra personaggi storici e romanzeschi ma l’invenzione letteraria permette una visione ravvicinata e affettuosa di uno di questi ragazzini che ebbe una vita lunga e piena d’incontri. Suo tramite vediamo le persone e la società che lo circondano dal di dentro, dove la Storia latita l’arte stupisce con verosimiglianza e fantasia intelligente.

Fra gli incontri più toccanti c’è quello con il Mozart quattordicenne che giunge a Napoli nel 1770. Sfuggendo per un attimo allo stretto controllo del paterno Mozart si è presentato con un nome falso all’altezzoso duca di Cattolica, spunto del breve dialogo con Porporino che mostra la toccante sensibilità mozartiana:

  • Trazom, che strano nome, dico io [Porporino].
  • Non è così strano, risponde [Mozart].
  • Perché non avete voluto presentarvi al duca col vostro vero nome? […]
  • Perché? Perché? Perché i padri costringono i figli a portare al petto un pezzettino d’oro che non hanno chiesto? Perché delle persone alle quali non importa nulla della mia musica siedono per un’ora su queste seggiole e fanno finta di ascoltare? Siete sempre completamente vero con voi stesso? Vi riconoscete in ogni cosa che fate? E poi, come vi chiamate?
  • Oh, io, dico arrossendo, per me è tutto diverso. Io per un certo verso non conto.
  • Non contate?
  • Mi chiamo Porporino. Sono un castrato, capite?
  • Lasciate che vi abbracci! esclama allora stringendomi al petto e coprendo le mie guance di baci. Poi indietreggia di un passo, sempre tenendo fra le sue le mie mani che stringe con affetto. E senza notare apparentemente il mio stupore aggiunge queste misteriose parole: – Voi avete smesso per sempre di essere figlio, voi! Oh, come vi invidio! Porporino… È un nome che vi siete scelto, vero? Ma io cosa posso sperare per bene che vadano la cose? Trasformare Mozart in Trazom!

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Nell’Epilogo un vecchio Porporino ricostruisce così la sua esperienza umana: “è vero che all’inizio ho sofferto, è vero che mi sono sentito spogliato della mia giovinezza, frustrato, esiliato, è vero che ho inghiottito lacrime rivoltandomi la notte sul letto. Mi ci è voluto del tempo per ridere di tutte le sciocchezze sentite nel bel mondo. […] Come sono felice oggi di non essere diventato «qualcuno», farsi «un nome»: tutti corrono appresso a questa chimera. È come per il sesso. Al tramonto della vita dovrei considerarmi il più sfortunato degli uomini per non avere gustato i piaceri di cui si dicono meraviglie. Eppure tutti questi amanti, tormentati dall’impazienza di raggiungere lo scopo, mi sembrano così piccini, così miserabili, mentre io mi sento prodigiosamente arricchito per essere sfuggito al dovere di essere uomo!”. Commenta il Curatore alla fine della sua Nota: “Quanto alla responsabilità di decidere se fosse un crimine sacrificare l’integrità fisica di alcuni ragazzini sull’altare del bel canto, si dovrà pure ammettere, dopo aver letto questo testo, che soltanto uno spirito veramente settario potrebbe condannare in blocco una pratica che fece felice almeno una persona.” Devo dire che Fernandez non mi convince su questo ultimo punto.

Per approfondire: Dominique Fernandez, Porporino ovvero i misteri di Napoli, (Colonnese editore, 2002); Luca Scarlini, Lustrini per il regno dei cieli, ritratti di cinque evirati cantori (Bollati Boringhieri, 2008); Giovanni Sole, Castrati e cicisbei, ideologia e moda nel settecento italiano (Rubbettino editore, 2008); Dominique Fernandez, Il ratto di Ganimede, la presenza omosessuale nell’arte e nella società (Bompiani, 2002).

Giancarlo Zaffaroni

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