Nuovo disco per gli ultra-osannati Portal da Brisbane, Australia, la città della Big Pineapple, attrazione turistica del Queensland a forma di ananas alta ben 16 metri. Parlo di ananas perché istintivamente le trovo più attraenti dei Portal, gruppo adorato da tutti indistintamente, oggetto delle lodi più sperticate e considerati l’avanguardia del death metal. Come spesso accade, la squadra che vince sempre ci sta istintivamente antipatica e candido ammetto questa distorsione del mio sguardo sulla band. Al di là degli ananas, ritengo che i Portal non abbiano in realtà i numeri per assurgere a idoli della sperimentazione death metal. Troppi non saranno d’accordo con me, vox populi vox dei d’altra parte, ma qualcuno il bastian contrario deve pur farlo, non possono essere tutti d’accordo, fa paura! Capiamoci, i Portal non sono un gruppo di merda, anzi, hanno raggiunto già un grande obiettivo, cioè quello di essere riconoscibili per via del suono e dello stile. Certo, anche la mia auto è molto riconoscibile ultimamente, le pasticche dei freni finite che strusciano sui dischi fanno un gran casino e mi si sente arrivare da lontano. Ma quali sono questo suono e questo stile? Accordatura estremamente bassa, chitarra claustrofobica, batteria e voce riverberate al massimo con effetto tempesta dall’oltretomba, velocità anche vertiginose, cambi di tempo improvvisi, riff dissonanti e spesso prolungati anche senza la presenza della batteria. E poi l’elemento che li rende avanguardia nell’ambiente metal: orologi sulla testa dal vivo e presenza occasionale di drone. Di sicuro si tratta di un gruppo con un approccio originale (volutamente confuso? immagino di sì), anche se per molti versi mutuato dal Trey Azagthoth dei Morbid Angel più ispirati (quelli del sottovalutato Formulas Fatal For the Flesh), ma i pezzi sono anche discretamente sconclusionati, tendenzialmente noiosi, un po’ come assistere alungo a una masturbazione e quando si ha altro per la testa. I Portal andrebbero assolutamente ridimensionati, andrebbe detto quello che veramente sono: un gruppo brillante, che cerca di essere diverso, ma ancora incapace di far fruttare al meglio le proprie idee in maniera organica. Prima o poi mi aspetto veramente un disco che possa far gridare al miracolo, ma le speranze non sono verdissime, i loro ultimi tre album si assomigliano veramente troppo l’uno con l’altro, non vedo i margini per una vera evoluzione e, se manca il coraggio, allora la sperimentazione va a farsi benedire. Voto: continuo ad avere idee divergenti sul concetto di “avanguardia”.
Tracklist
01. Kilter
02. The Back Wards
03. Curtain
04. Plasm
05. Awryeon
06. Orbmorphia
07. Oblotten