Il ristorante è davanti al mare nero notte di Ischia. Si siedono al tavolo accanto al nostro. Sono in tre, un tipo sulla settantina vestito extralusso, un ragazzino di meno di vent’anni magrissimo, efebico e con un po’ di matita nera sugli occhi, e un macho faccia torva e bicipiti tatuati. Il vecchio ordina per tutti, sontuosi sauté di frutti di mare, paccheri allo scoglio e pesce spada. Ha un marcato accento napoletano, attenzioni e smodate gentilezze per tutti tranne che per il suonatore di xilofono che passa attraverso i tavoli a chiedere un obolo. Parla di mastoplastica riduttiva a proposito di una ragazza che tien e zizz esagerat. I due più giovani ascoltano, assecondano, ridono a comando. Il ragazzino è il più disinvolto dei due, ha appena ricevuto dal vecchio un cellulare in regalo. Si fissa a guardare mio figlio con occhi cerbiatteschi. “Quant è bell’ ‘sta criature” sussurra. L’altro, il macho, al contrario sembra in tensione. Al cameriere ha ordinato genericamente “carne”, una richiesta inattuale in un ristorante di mare, suggerita forse dalla fame, o più in generale dalla poca dimestichezza coi ristoranti. Quando gli viene voglia di fumare si alza dal tavolo e si allontana, è una premura nei confronti del bambino che stona con l’aspetto feroce del suo sguardo e al tempo stesso intenerisce. Il vecchio intanto si dilunga a parlare col proprietario del ristorante, dice che si fermerà a Ischia per tutto il mese di agosto, dice che viene a mangiare lì da vent’anni ma che le gestioni precedenti non gli piacevano. Quando chiede il conto i due ragazzi si alzano di scatto e si allontanano dal tavolo, sanno che quello non è affar loro, sanno che la cena è un benefit per la notte di lavoro che li aspetta. Un minuto dopo il vecchio li raggiunge, e tutti e tre si smaterializzano nella notte, come porte a scomparsa in un altro mondo.
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