Nicola Tranfaglia
Sono trascorsi ormai più di settanta anni dalla strage di Portella della Ginestra, nel comune di Piana degli Albanesi,vicino Palermo e gli italiani,soprattutto i più giovani non sanno nulla di quel che è successo il 30 aprile di quel giorno.Peraltro,dopo i molti processi che ne sono seguiti, nel nostro paese,a parte le carte supplementari pubblicate qualche anno fa e i libri soprattutto di Giuseppe Casarrubea e di Mario Cereghino apparsi tempo fa,e rari accenni in altri lavori specializzati, di quella che io stesso considero ancora come la madre di tutte le stragi consumate in Italia,non se ne è più parlato.
Ora,a distanza di sette decenni, da quella vicenda in cui undici contadini siciliani vennero falciati a colpi di mitra dalla banda di Salvatore Giuliano e da altri terroristi filofascisti,tutto è sfumato in uno di quegli indistinti ricordi che nel nostro Paese avvolgono alcune tra le pagine peggiori della nostra storia.
Ora finalmente proprio Casarrubea ha pubblicato il Rapporto giudiziario sulle stragi di Portella e di Partinico,conseguente quest’ultima all’attacco terroristico alla Camera del Lavoro della provincia di Palermo del 22 giugno 1947. Il documento redatto dall’Ispettorato Generale di Pubblica Sicurezza per la Sicilia,Nucleo mobile Carabinieri di Palermo,porta con sè la denuncia del bandito Salvatore Giuliano e altri 44 suoi affiliati di cui 16 arrestati,14 latitanti,11 irreperibili e 3 uccisi,tutti responsabili in concorso tra loro,di tali delitti nonchè di partecipazione a banda armata e detenzione abusiva di armi e munizioni da guerra. Ha 29 allegati,porta il numero 37 e si trova alla citta giudiziaria di Roma.All’elenco dei banditi mancano i grandi latitanti,a cominciare da Giuliano,Gaspare Pisciotta e Pasquale o Pino Sciortino,quest’ultimo fuggito negli Stati Uniti nelle settimane successive alle stragi. Rintracciato cinque anni dopo fu ricondotto in Italia dall’FBI per scontare l’ergastolo al quale lo avevano condannato i giudici di Viterbo,poi commutato in ventisette anni di prigione.
I giudici sia nel processo di Viterbo, che in quello successivo alla Corte di Appello di Roma,ritennero gli assalti delle Camere del Lavoro una precisa continuazione dell’azione terroristica iniziata a Portella e considerano gli esecutori come la stessa mano armata di un unico disegno criminale.Perciò oggi assistere, da una parte, alla perdita crescente della memoria nel Paese di fronte a quelle stragi come anche alle successive che hanno insanguinato l’Italia e, dall’altra parte,all’atteggiamento per cui i rappresentanti della Camera del Lavoro di Piana degli Albanesi considerano la strage di Portella come un evento che appartiene soltanto alla loro identità linguistica ed etnica, rimanendo tragicamente affossati in una lettura locale del fenomeno separato dal contesto di tutte le stragi avvenute altrove,prima o anche dopo quella data fatale è lo specchio di un’Italia senza memoria del suo passato.
Ma questa visione rischia di riportarci alla versione che ne diede il ministro Mario Scelba il 2 maggio 1947 alla Camera dei Deputati quando,a meno di ventiquattro ore dai fatti, additò Giuliano come unico responsabile della strage e sostenne che si era trattato di un episodio di arretratezza feudale.
E questo sarebbe molto grato in questo nuovo secolo che anni fa sembrava prometterci molte novità.
4 maggio 2014