La riforma Berlinguer ha stabilito che il massimo titolo di studio in ambito artistico (arte, musica, danza) rilasciato in Italia abbia lo stesso valore dei titoli analoghi rilasciati nel resto dell’UE. In tal modo gli Istituti d’arte, musica e danza sono diventati pari a delle università, perchè rilasciano lauree di primo e secondo livello secondo il sistema europeo dei crediti.
Musica e danza, tuttavia, sono percorsi che si intraprendono da giovanissimi: tradizionalmente l’ammissione negli istituti avviene dagli undici anni d’età. La riforma ha stabilito, in via teorica, che la formazione di base non sia più appannaggio (competenza?) degli istituti AFAM. Il che sorprende, se ci si pensa bene (almeno, sorprende me, che in questo frangente mi riconosco un po’ retrograda, avversa alle riforme e attaccata al vecchio): è profonda la dicotomia tra le due figure, quella del docente che forgia corpi e menti ancora non formate e quella del professore che perfeziona corpi e menti già formate.
Così, i docenti (insegnanti e pianisti) dell’AND sono stati promossi. Alcuni sostengono di essersi stufati di insegnare ai giovanissimi, e di essere, dopo 30 anni o giù di lì, ormai maturi per formare i professionisti. E agiscono correttamente: è la riforma che glielo consente, anzi, glielo impone.
Naturalmente, certi hanno i numeri per farlo. C’è chi ha alle spalle un egregio curriculum di danzatore professionista, chi si è perfezionato come insegnante e a sua volta ha continuato a studiare, chi tiene stages e seminari in Italia e all’estero.
Altri non ce li hanno. Ci sono alcuni insegnanti che non sono mai stati ballerini professionisti né si sono mai aggiornati né hanno mai insegnato al di fuori dell’AND, e pianisti che non hanno mai accompagnato la danza al di fuori da lì né si sono mai interessati di come si possa svolgere la loro professione nei teatri e nelle istituzioni europee di…alta cultura.
Altri ancora ce li hanno, ma preferirebbero continuare ad insegnare ai giovanissimi, perchè l’hanno sempre fatto ed è la loro vocazione.
Infine, c’è un manipolo di individui (e sembra incredibile, ma sono tra quelli che fanno la voce più grossa) che non amano il proprio lavoro, non lo hanno mai saputo fare bene e da tempo affermano il proprio diritto di fare altro, cioè di insegnare altro o di non suonare più per la danza, per sedersi dietro una scrivania (qualcuno c’è già riuscito) o per fare qualunque altra cosa che non sia il lavoro per il quale hanno firmato un contratto 30 anni fa e per il quale vengono regolarmente pagati dallo stato italiano; vogliono riconvertirsi, riciclarsi, altrimenti continueranno a collezionare mesi ed anni di assenza per esaurimento nervoso. Dodici (12) ore di lavoro alla settimana sono dure da sostenere, per così tanti anni.
[Impossibile farla breve].
Oggi, da quasi tre mesi, gli studenti dei corsi universitari sono in una fase di protesta. Qualcuno dice che sono pilotati da alcuni docenti infidi e spinti dalle proprie ambizioni ed interessi personali, ed io penso che certamente alcuni docenti stiano cavalcando l’onda per ottenere soddisfazione all’interno di lotte intestine di vecchia data, ma comunque, attraverso documenti prolissi, mal scritti e scorretti sotto diversi punti di vista (strategico, politico, etico, ortografico), gli studenti sono arrivati da soli ai canali d’informazione e sempre più spesso i quotidiani riportano lo stato della loro protesta.
Nell’agone lo scontro si è acutizzato sempre più: oggi gli studenti (?) chiedono le dimissioni del Direttore, benchè io non credo che si possa imputare la situazione generale di decadenza, dalla pulizia dei bagni alla didattica, soltanto al Direttore. Ultimamente gli studenti scrivono al ministro e ai giornalisti per avvisarli di qualunque loro richiesta disattesa (“la dir. non ha firmato il regolamento!” ” la dir. non ha avvisato il tale che la scuola era chiusa!”).
Alle voci degli studenti si sono unite anche quelle di molti docenti. In quarantasette (47) hanno sottoscritto un documento, semplicissimo, in cui si richiedeva un nuovo direttore attraverso la pratica, abbastanza diffusa tutto sommato, dell’elezione democratica. Sono anch’io tra i 47, per due motivi. Uno è che la nomina per chiara fama mi piacerebbe per una persona davvero super partes… altrimenti, meglio adottare il sistema elettorale. L’altro è che non ho mai condiviso le scelte artistiche, specialmente il denaro sonante speso per i maestri ospiti. Ma, come anticipavo sopra, non credo che la Direzione sia responsabile di tutta la decadenza. In parte, sì. La centralizzazione, ad esempio, nella gestione dei licei coreutici, ha esasperato la situazione. Per il resto… i problemi sono altrove. (Per la cronaca, anche lo scontro tra la direzione e i docenti si è acutizzato: i quarantasette hanno ricevuto una lettera di richiamo, nella quale sono tutti accusati di comportamento diffamatorio solo per aver sottoscritto il documento di cui sopra).
L’avrete capito, quello che mi irrita profondamente è l’autoreferenzialità. E poi ciò che questa riforma consente ed incoraggia: l’agire indisturbato di chi può permettersi di dire “siamo diventati alta formazione”. Ma può un’istituzione svecchiare se stessa mantenendo tutti i componenti al proprio posto? Può e deve farlo, perchè è statale. Ma un po’ di onestà, no? Ognuno di noi sa che cosa sa fare e che cosa no. Non è solo un’opportunità, ma anche un dovere, la mission di formare i danzatori al massimo livello. E’ un dovere, quindi, offrire un percorso di eccellenza nell’Alta formazione, che dovrebbe avvalersi anche di docenti e coreografi e studiosi ospiti non saltuari, perchè tra i docenti dell’AND le competenze non sono sufficienti.
Qualcuno dice che da tempo i fasti dell’AND sono tramontati, e non ne escono stelle della danza se non i rari talenti citati fino alla nausea. Ma io penso che il posto fisso, prima o poi, faccia ammalare quasi tutti. Di pigrizia o di ignavia. Tanto che alcuni, chiusi nella dimora dorata dell’Aventino (e lo è veramente), chiusi lì da quando avevano undici anni se si considerano anche gli anni di studi, non sanno più che cosa c’è al di fuori. Troppo comodo sedersi su vetustissimi allori, su regolari stipendi, nella polvere accademica, quando non si ha concorrenza, quando si è “gli unici”, quando non si deve rendere conto della qualità del proprio lavoro, quando la fame di lavoro o l’ambizione di sfondare nel mondo nella danza suggerita da certi programmi televisivi muove torme di giovani dalla scarsa cultura generale verso i titoli “facili” dell’accademia.
L’AND deve ritornare ad essere una scuola selettiva, anche se pubblica. Una scuola statale non può forse essere selettiva, nei limiti della sopravvivenza? Deve essere esigente con gli allievi (e con gli insegnanti). Deve pretendere un alto livello agli allievi fin dall’ammissione e deve pretendere l’aggiornamento degli insegnanti. Deve laureare solo i meritevoli, senza sconti.
I talenti saranno sempre pochissimi, altrimenti non sarebbero talenti.
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Per voi che siete arrivati in fondo a questo post: avete vinto un cane di pezza! Se non specificate nei commenti di che colore lo volete, ve lo mando marrone.
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