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Post da Italiana all'Estero

Creato il 28 ottobre 2013 da Giupy
Sono recentemente andata ad un concerto organizzato dagli studenti della scuola superiore locale. Come gia' notato in precedenza, quella che mi aspettavo fosse una patetica esibizione di bambini canterini nel cortile dimesso della scuola, si e' in realta' rivelata una performance degna di Broadway. Con le ragazzine in costumi di pailettes, cori perfettamente coordinati e un auditorium che costa di piu' della costruzione di quattro licei italiani.
Questo mi ha fatto, al solito, ripensare con bruciante invidia a quando avevo 16 anni e no, noi a scuola non avevamo nessuna ora opzionale di canto, o di ballo, ma ci tartassavano con Latino e Greco. Consoliamoci al pensiero che sono stonata come un'oca colpita da un sasso.
Oltre al mio rosicare per non aver mai frequentato una high school americana, ho fatto due considerazioni. Una abbastanza triviale e una da Italiana all'Estero che-ogni-tanto-deve-dire-la-sua. Potete anche fermarvi alla prima.
1) Le ragazze erano tutte bellissime, con tacco alto e vestiti aderenti e biondi ricci che cadevano sulle spalle in onde perfette. Dimostravano anche tutte 28 anni, cosa che un po' mi fa capire come mai si ostinino a chiedermi i documenti nei locali. Invece i ragazzi si dividevano in due categorie. Quelli del primo anno sembravano appena usciti dalle elementari, ed erano cosi' teneri nei loro vestitini da pinguini. Poi, improvvisamente, diventavano tutti dei trentenni vestiti da liceali. E qui impariamo che Dawson non ha ingannato nessuno: davvero in America all'ultimo anno di liceo sembrano studenti fuoricorso e fuorisede del Dams.
Mi chiedo se pure noi al liceo in Italia eravamo cosi'
Post da Italiana all'Estero
Dawson ha infiammato il cuore di una generazione di adolescenti, ma a me sembra giusto rimarcare che no, Dawson non e' mai stato bello, e probabilmente nemmeno giovane
2) La seconda considerazione e' che il concerto e' iniziato con l'inno americano e tutti con la mano sul cuore. Essendo che io sono una disadattata, ho reagito un po' come reagisco alle preghiere prima di mangiare, cioe' ridacchiando come un'idiota e guardandomi attorno nella speranza che qualcun altro faccesse altreattanto. Ma oltre al mio cultural clash, ho fatto una riflessione.Qui in America sono tutti molto fieri di essere americani, o almeno lo sembrano. La mia professoressa mi ha raccontato una volta della sua infanzia nello Utah fatta di temi "spiega perche' l'America e' il miglior Paese del mondo". Le strade e le case pullulano di bandiere, a volte davvero gigantesche, e non so se le dimensioni servano in realta' a contrastare la ben nota invidia della bandiera. Quando gli Americani parlano dicono "this country", cosi' semplicemente, come se non servissero altre spiegazioni.
Noi in Italia ci sentiamo tutti uniti solo quando giochiamo ai Mondiali, e allora andiamo a comprare una bandiera da mettere fuori e ci ricordiamo del nostro inno nazionale. L'unica cosa che ha mai sventolato dalla mia finestra era la bandiera della pace nel 2003. Al nord votiamo Lega e al sud ci sfottono per la nebbia e il caffe' che non e' buono. Non siamo d'accordo su nulla, ma ce la prendiamo con gli immigrati. Abbiamo duecento dialetti diversi e quando sono stata in Sicilia non capivo un'acca.
Sto dicendo che l'America e' meglio dell'Italia? Non lo so. Un po' mi piace e un po' invidio questo grande senso di appartenenza ad una grande e superba nazione che hanno, ma un po' mi fa pure paura. Mi spaventa la retorica del "noi possiamo portare pace e democrazia" e mi preoccupa la scarsa integrazione di tante minoranze. Il Tea Party mi terrorizza quanto la Lega Nord. 
Pero' poi ho riflettuto sul mio senso di appartenenza. Vivendo in Francia e in Belgio ho ridefinito la mia italianita', mentre qui in America mi sembra di scoprire cosa vuol dire essere Europea. Tuttavia -stereotipi da blog a parte- continuo a non trovare delle differenze insormontabili tra le culture. Sara' che sono adattabile e malleabile e dove mi mettete sto, ma mi sembra davvero di essere parte di una grande umanita' che va oltre l'essere Italiani o Europei o Padani. Certo amo l'Italia, e certamente non rinnegherei mai le mie radici. Ma mi sembra che il mio essere italiana certe volte si riduca al lamentarmi perche' non ho il bidet e all'accento che tanto piace. All'inizio qui in America mi presentavo subito come "quella che viene dall'Italia", ora ho smesso di farlo. Se la gente e' curiosa chieda pure, ma non ho piu' voglia di essere la straniera esotica venuta da lontano, quella che deve decantare quanto e' buono il cibo e bello il sole nel Belpaese, e giustificare con una risata imbarazzata la mafia la corruzione e Berlusconi.
La verita' e' che noi non siamo il Paese da cui veniamo, e dove siamo nati per caso. Non c'e' una sola Italia e non c'e' una sola America. Ci sono tante culture, tanti modi diversi di essere quello che si e'. Ci sono Italiani che considero in gamba e che sono fiera di avere come connazionali, altri che al solo pensiero butterei il passaporto. Continuo ad avere la convinzione naive che il colore della pelle, il sesso. la nazionalita', la religione e l'orientamento sessuale non siano davvero poi cosi' importanti. Che in fondo siamo tutti uguali e creiamo noi delle differenze di cui potremmo benissimo fare a meno. E spero che la gente non mi giudichi per il mio essere bianca, o Italiana, o donna, ma solo per quello che penso e faccio. Mi piace pensare di essere cittadina del mondo, forse un giorno lo saro' davvero, forse le mie sono solo illusioni e sono solo intrappolata in un'identita' che ancora devo capire.
Mi rendo conto che sto diventado una di quelle Italiane all'Estero da Post lamentoso e assolutamente inconclusivo. Lo so, passo troppo tempo con filosofi e sociologi che, nella maggior parte dei casi, sono pure gia' morti.  Invece di condividere i miei dubbi e le mie domande amletiche con il Popolo di Internet, lascero' che sia Gaber a parlare un po' per me. 


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