Il collettivo AKR è tornato in città. Dopo i successi raccolti con il precedente spettacolo E.C.F.C. l’anno scorso e l’incursione al 100 Grad festival a Febbraio, i ragazzi hanno presentato ieri presso la Theaterkapelle (Boxhagenerstrasse 99) la prima del loro nuovo lavoro POST, già presentato con successo al Centrale Preneste di Roma e al Pad Festival di Mainz, in programmazione fino a Domenica.
“A bit more than human, a bit less than machine” è il sottotitolo della pièce, il quale ci rivela in parte il contenuto che gli artisti hanno scelto di proporre. Il punto di partenza è il tentativo di creare uno spazio di espressione per ciò che non è ancora stato oppresso, quella scintilla di vita che ancora risiede nell’epoca del post-capitalismo di crisi. “Si tratta di una mostra dell’umanità superstite” afferma l’attrice Maria Laura de Bardi, “un’osservazione e un lavoro sullo strato culturale”. Una volta preso atto dello stato di coma o sonno perenne in cui la società contemporanea è costretta a giacere, dunque, occorre focalizzarsi sulle resistenze, volontarie o meno, che cercano di contrapporsi alla disumanizzazione. Un gesto che diventa politico senza mediazione, un’accusa che viene mossa senza che essere formulata. Dopo la verbosità di E.C.F.C., infatti, AKR ha cambiato radicalmente rotta, mettendo in scena uno spettacolo in cui il gesto conta più della parola.
Si tratta di una caratteristica a mio parere fondamentale, la quale è indice di una maturazione costante dell’apparato concettuale che sta alla base della riflessione proposta. “Il modo in cui elaboriamo il testo è cambiato nel corso degli ultimi mesi” spiega Domenico Catano, “l’esperienza estera è stata fondamentale in questo senso”. Apparentemente vi è una rinuncia alla narrazione, giustificata con l’impossibilità esplicativa della parola: tuttavia, la rinuncia al testo non diventa una mutilazione comunicativa. Chi abbia gli occhi giusti per vedere, infatti, non può fare a meno di notare come lo spettacolo sia una rappresentazione di esperienze e traumi in forma figurata, come un’espressione onirica dell’inconscio freudiano. Inconscio che qui però si fa collettivo, segnato da traumi che appartengono all’uomo in quanto tale. La resistenza alla macchina implica dolore. Il testo in effetti c’è, si manifesta spontaneamente nei momenti successivi alla visione. Viene composto da chi, come me, mette nero su bianco o semplicemente racconta quello che ha visto, portando il proprio contenuto. E’ un’esperienza che punta a destabilizzare, stimola la creatività e l’impulso alla vita che risiede ancora nelle persone che non sono diventate automi.
Per quanto riguarda lo stile, la lontananza (voluta) dagli schemi classici del teatro, assieme alla vicinanza con certe pratiche tipiche dell’azione performativa, fornisce inoltre quel carattere di novità e sorpresa che uno spettacolo mosso da un intento simile dovrebbe essere in grado di offrire allo spettatore. Gli attori di AKR non sono dilettanti che improvvisano, ma professionisti che conoscono fin troppo bene i trucchi del mestiere, per questo si possono permettere di farne scherno. E’ un gruppo fluido ed eterogeneo a struttura orizzontale, all’interno del quale le decisioni vengono prese spontaneamente, senza che siano necessari lunghi dibattiti o votazioni. E’ un gruppo post politico, conscio del fatto che la parola “democrazia” sia spesso una scatola vuota, utilizzata per fini di oppressione.
Per quanto mi riguarda, il senso che POST mi ha lasciato è paragonabile a quello dell’intraducibile termine inglese aftermath. Un “dopo” che non è un momento ma un processo, se non materialmente possibile almeno ideale. Ma se l’”andare avanti” coincide con un loop, e l’esperienza del futuro si fa immediatamente passato, forse anche gli ultimi spazi di libertà concessi all’arte si stanno oscurando. Buona visione.
Riccardo Motti