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Potrà anche essere tacciato di incomprensibilità Post Tenebras Lux, si potrà additare quel zigzagare temporale che lo costituisce, le sue falle logiche o i grandi interrogativi orfani di risposte (ad esempio: Juan vivrà o no?), ma il premio per la miglior regia a Cannes ’12 è un Cinema Nuovo che a fronte di possibili mancanze squaderna una ricchezza espositiva e argomentativa che lo rende un giacimento preziosissimo, un pozzo vergine dal quale attingere a piene mani per restare meravigliati da ogni singolo approccio utilizzato dal regista: si parte dai problemi matrimoniali (retaggio, forse, di Silent Light, 2007) che seppur ordinari si ammantano di una sofferenza sottaciuta ma avvertibile per allargare il raggio d’interesse su tematiche che già sostanziavano il capolavoro precedente (Japón, 2002) e che, quindi, abbracciano l’escatologia, la fine e l’inizio di tutto. A guarnire la portata semantica l’autore messicano erige una sintassi estetica che oserei definire seminale, aldilà della costante sfocatura ovale che sborda i contorni delle riprese (principalmente quelle esterne) e che conferisce una percentuale di straniamento molto elevata, la capacità di Reygadas nello scovare continuamente soluzioni innovative stupisce ed incanta e raggiunge picchi di purezza che ancora non avevamo visto, sequenze che per quanto mi riguarda possono già passare alla Storia del Cinema come quella sulla spiaggia, teatro, peraltro, di un possibile cortocircuito anagrafico da far girare la testa, la cui incisione ottica, alimentata da un sonoro che letteralmente inonda l’apparato uditivo, consegue un livello di intensità tale da produrre con niente (due bambini che zampettano sulla sabbia) quello che chiediamo imploranti all’arte: l’emozione.
Post Tenebras Lux è, oggi, un appuntamento da non perdere perché il film di Reygadas è un film da studiare fotogramma per fotogramma, mai conciliante e sempre intraprendente un’opera del genere meriterebbe approfondimenti ben più corposi di quanto scritto in questa sede, trattato di come può e deve essere ancora il cinema contemporaneo: materia inesauribile su cui tornare e ritornare infinite volte come se ogni nuova visione fosse la prima. In un mondo come il nostro che, senza retorica, ha iniziato da tempo a scivolare in un buio denso e paludoso, la luce può arrivare da una torcia che arde tenace, da uno sconosciuto quarantaduenne nato a Città del Messico che col suo cinema anti-letterale dona Verità (sull’essere, sull’amore, sul sesso, sul dolore, ecc.) ad uno spettatore ignaro e sempre inadeguato a ricevere tali vastità.
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