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POV: Norowareta firumu (POV~呪われたフィルム~, POV: A Cursed Film)
Creato il 22 maggio 2013 da Makoto @makotosterPOV: Norowareta firumu (POV~呪われたフィルム~, POV: A Cursed Film). Regia, soggetto e sceneggiatura: Tsuruta Norio. Interpreti: Mirai Shida, Kawaguchi Haruna, Hirano Yasuyuki. Produzione: Toho. Durata: 92'. Uscita nelle sale giapponesi: 18 febbraio 2012
Punteggio ★1/2
Ospite speciale all’interno dello show televisivo della giovanissima Shida Mirai, la studentessa Kawaguchi Haruna partecipa ad una puntata dedicata alle storie di fantasmi. Durante la registrazione dello show e in presenza del loro produttore Kuwata, del regista Tachibana e della sua assistente, le due ragazze iniziano a visionare alcuni video di presunte autentiche apparizioni. Entrambe rimangono molto colpite dal contenuto di un filmato che, ad ogni nuova riproduzione, pare ritrarre un dettaglio a prima vista non riconoscibile. Mirai è particolarmente spaventata, mentre Haruna, prima di avere un mancamento, riconosce il luogo testimoniato dalle immagini, rivelando all’intervistatrice che si tratta del suo vecchio liceo, luogo su cui da tempo si diffondono leggende di spettrali presenze. Dopo esser stati contattati da un’insegnante dell’istituto – decisa a demistificare le chiacchiere che gravano sullo stesso – ed interessati ad indagare sulla faccenda, le due ragazze e la troupe televisiva ottengono la possibilità di recarsi presso l’edificio. Giunto sul posto, il gruppo rimane in attesa della medium precedentemente intervenuta presso lo studio televisivo in soccorso di Haruna, suggestionata dalla visione dei video. Nonostante il ritardo della donna, il regista, il produttore e le due ragazze decidono ugualmente di iniziare la loro visita, dedicando particolare attenzione ai locali ritratti dalle immagini di cui sono stati spettatori. L’edificio è pregno di desolazione e con il calare delle tenebre gli incauti visitatori avranno modo di dare corpo ai loro timori, scoprendo che la presenza dello spettro di una ragazza morta anni prima è lungi dall’essere soltanto una diceria.
Le difficoltà del panorama horror giapponese degli ultimi anni paiono piuttosto evidenti (incertezze di cui si è già parlato in altre occasioni, si veda King’s game, Shirome o Kyōfu) e con le ultime fatiche di Tsuruta (un veterano del genere, insieme a Nakata Hideo, Shimizu Takashi e Ochiai Masayuki) sembrano concretizzarsi in modo allarmante a causa di un’incontrovertibile riluttanza al cambiamento e di un manierismo che non si trova a suo agio con le ispirazioni adottate da rinnovati generi e stili di successo commerciale, tra cui il mockumentary e la shaky cam. POV, che raccoglie a piene mani eredità e influenze eterogenee – dallo psycho horror “classico”, ai precedenti lavori dello stesso autore, dal mockumentary contemporaneo in stile Shiraishi Kōji, alla presa diretta di moltissimo cinema di genere europeo – non si spinge oltre l'esibizione di situazioni viste e abusate (talvolta al limite dell’autocitazione, come il fantasma in abiti rossi e l’inesauribile spettro che alberga nell’ultimo lugubre gabinetto dei bagni femminili), senza preoccuparsi di coerenze interne e conducendo la situazione ad un voluto paradosso dal quale trarre giustificazione e un indotto stupore. Non più necessariamente vendicativi e mortiferi, i fantasmi divengono dispettosi, più inclini a burlarsi e farsi beffe dei viventi che ad impossessarsi delle loro vite per riscattare il loro risentimento. È un susseguirsi di crepitii, tonfi, boati e luci tremolanti affastellati dal movimento frenetico e sobbalzante della camera di Tsuruta che scuote l’inquadratura rendendo l’immagine oscura e priva di definizione. I media (la camera digitale e la riproduzione in video) assumono il punto di vista, divenendo testimonianza (in)diretta, traslata e riprodotta nella sua capacità di donare un completamento conoscitivo celato dal quale scaturisce il senso di colpa (per Haruna), un’ombra di responsabilità in relazione agli eventi del passato. Si annulla il commento sociale sulle difficoltà del relazionarsi umano e non trovano spazio riflessioni nei confronti del diverso, del bisogno dell’altro o di un esame di autocoscienza in prospettiva al cambiamento. Il punto di partenza ritorna ad essere la leggenda metropolitana interconnessa all’ambiente adolescenziale, all’età di transizione di un universo prevalentemente femminile. Come accade però nei già citati Shirome e King’s game ci troviamo di fronte a personaggi prettamente convenzionali – la ragazzina fifona e quella più sensibile che rimane posseduta, il produttore senza scrupoli, il cameraman-regista che vuole appagare la sua sete di verità ad ogni costo, l’insegnante che nega e vorrebbe mettere a tacere – privi di carattere e tratti personali che ne trasmettano autenticità e coinvolgimento. Il risultato è una composizione algida che non riesce ad emozionare e ancor meno ad incutere timore, soppiantando le snervanti attese di Kurosawa Kiyoshi, la mesta claustrofobia di Nakata Hideo o i volti intollerabili dei lavori direct-to-video di Shimizu, con grida di paura, gemiti e un costante isterismo adolescenziale tutto al femminile.
Il target di riferimento delle nuove produzioni di genere sembra essersi spostato da una generazione ad un’altra e se già l’horror nipponico non sempre incontrava il favore di un pubblico eterogeneo se non dei suoi fan (giovani spettatrici amanti dei manga), sembra aver abbandonato ogni velleità di volersi proporre ad un audience più ampio. Se dunque il film non è esente da incertezze, è innegabile che i suoi autori si siano prodigati ad una nuova interpretazione del mezzo mediatico, non soltanto strumento con il quale attrarre e testimoniare l’altro da sé, ma anche elemento che il diverso utilizza per autenticare se stesso, riprendendo e descrivendo a sua volta i rapporti umani. In bilico tra un ribaltamento situazionale e un accadimento che può darsi soltanto con il ripetersi della visione (in cui la presenza spettrale trova un compimento evolutivo con il sommarsi della riproduzione del suo stesso video-testimonianza), POV lavora – fin dal suo titolo – sulle possibilità della rappresentazione e della percezione, della riproducibilità e del suo essere soggetta a modificazione in base ad un sovrapporsi di punti di vista (delle protagoniste, del team televisivo e del fantasma stesso). Complessivamente, ancora una produzione parzialmente trascurabile, che si affaccia nell’infelice panorama horror per dare alle sue giovani interpreti la possibilità di tentare una carriera cinematografica dalle opinabili prospettive. Appresa la lezione asiatica, l’occidente (tra un remake e il successivo) è forse adesso il terreno più interessante da osservare per comprendere le inversioni di tendenza del mercato dell’horror e la nascita di nuovi e accattivanti stimoli visivi. [Luca Calderini]
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