Non è soltanto una tattica basata su restrizioni, limitazioni, tagli di garanzie e diritti oltre che di salari e Welfare, in nome della necessità di ridurre la spesa pubblica e privata, imputate di aver prodotto la crisi. Non è soltanto la parola d’ordine, peraltro ormai discussa e contestata anche da alcuni sorprendenti insospettabili, della propaganda della creditocrazia.
No, l’austerità è anche ed indubitabilmente un insieme di imperativi etici che dovrebbero indurre una mobilitazione generale per la “crescita”, sicché sacrifici, rinuncia di sicurezze e abiura di prerogative debbono essere interpretate come doveroso investimento per rispondere alla sfida della competitività, per creare le condizioni di quello sviluppo illimitato, che malgrado ogni analisi e ogni lezione della storia, rimane l’aspirazione dei pochi ricchi che vogliono essere sempre più ricchi e la speranza di chi si illude che il profitto di un ceto, minoritario numericamente ma smisuratamente influente, possa spargere intorno un po’ di benessere, come una polverina magica che si diffonde nell’aria che respirano i molti altri.
Ed è anche una pedagogia che i governi, che hanno assunto la funzione di una gerarchia ecclesiastica al servizio della teocrazia della finanza e dell’economia, continuano ad impartirci con misure e lezioni punitive, rammentandoci ad ogni restrizione, ad ogni sopruso, ad ogni detrazione di diritti, a ogni diminuzione di presidi conquistati a costo di lotte secolari, che si tratta di meritati castighi a fronte di costumi dissipati e di smanie sperperatrici, che altro non sono che la pena a fini di redenzione, mediante flessibilità, incertezza, mobilità, esclusione, comminata per aver vissuto sopra le proprie possibilità e per aver preteso che i diritti come i beni comuni fossero inalienabili, intangibili, irriducibili.
Si sono impegnati a propagare la buona novella che all’espiazione meritata seguirà la ricompensa, a condizione che ci si disponga scrupolosamente a sopravvivere con severità, a accettare di buon grado rinunce francescane, a adeguarsi, più che a una decrescita, a una miseria purificatrice che ci mondi di peccati e megalomania, sociologi, economisti, media, e naturalmente anche la scienza, che dopo la promessa dei fasti frutto delle magnifiche sorti del progresso, ne presenta il conto, ma preferibilmente ai poveri, ai sommersi, che ne avrebbero immeritatamente goduto, anzi, approfittato.
Così con una spericolata acrobazia statistica ai confini dell’esercizio paranormale, il prestigioso Cancer Research UK, ci riferisce la Stampa, il più importatnte ente inglese che si occupa di promuovere ricerca e prevenzione contro il cancro ha stabilito l’esistenza di una relazione di causa effetto tra melanoma e le vacanze estive. L’influente istituto ha analizzato “il boom di nuove diagnosi”, soprattutto tra gli anziani, attribuendo l’incidenza del più diffuso tumore della pelle alle eccessive esposizioni al sole, alla smania delle villeggiature e delle relative abbronzature che dagli Anni 60 con i primi “pacchetti” vacanze per le famiglie ha coinvolto pubblici nuovi e improvvisati.
Vi dirò la verità, ho sospettato pure io che non sono un’esperta, che anche il sole riservi trattamenti disuguali agli abitanti del suo pianeta più sciupone, somministrando benevoli e addomesticati raggi ai frequentatori di Mégève e della Costa Smeralda e scottando irrimediabilmente famigliole operaie a Milano Marittima e montanari bavaresi in gita a Rimini, facendo dell’astro un amico di Briatore e della Melandri in vacanza in ridenti relais e un nemico per popolazioni locali esposte alla sua potenza bruciante. Ma pur con qualche cedimento all’animismo, non mi sono certo nascosta anche gli effetti delle lacerazioni della coltre di ozono, o di quelli ancora più formidabili del cambiamento climatico, fenomeni sempre meno ammessi in quanto assimilati alla trista categoria dei disfattisti nemici dell’inarrestabile progresso.
Il fatto è che anche i fenomeni naturali ormai naturali non sono più. E è inevitabile che si uniformino allo spirito del tempo agendo secondo i criteri delle disuguaglianze e delle gerarchie sociali, colpendo preferibilmente con inondazioni, siccità, alluvioni, frane, erosione, desertificazione, segmenti di popolazione più vulnerabili e meno protette, perfino dalle creme solari.
E allora sembra suggerire l’illustre centro di ricerca, si sta meglio adesso che si sta peggio, adesso che le vacanze sono un lusso proibito. Come ormai anche gli accertamenti clinici, dei quali abbiamo approfittato, dei farmaci, che non ci possiamo permettere, delle cure ormai proibitive, degli ospedali cui vengono sottratte risorse e professionalità. Meglio morire presto, come suggerisce l’Fmi, per non pesare sui conti di stati indebitati per colpa delle nostre insane abitudini e dei nostri colpevoli capricci: sole, riposo dopo il lavoro e lavoro, mare pulito, aria respirabile, felicità.