Powerbook di Jeanette Winterson. Asimetriche assenze

Creato il 29 settembre 2014 da Spaceoddity
[OM] amore
destino
corpo
passion
memory
avventura
desiderio
body
dream
romance
love
progress
tragedy
letteratura
speranza
illusione
tempo
sogno
Una cascata di parole. Questa la sensazione che dalla copertina di Powerbook (2002) si riversa sul lettore, insieme a una rabbia, una profonda delusione suscitata da una scrittrice, Jeanette Winterson, capace altrimenti di buona, ottima letteratura. Ma c'è un'altro aspetto che colpisce, per i suoi appassionati lettori: l'assenza della dedica, altrove immancabile sia pure varia nella destinazione, sigillo - di teognidea memoria - di unità intellettuale e affettiva, ingredienti indispensabili per l'alchimia diffratta della sua scrittura.
Diffrazione che stavolta non è solo scomposizione di un raggio luminoso, non è sorgente di un nuovo arcobaleno di temi e motivi, piuttosto una fuga continua, una dispersione di buone intenzioni che stentano a farsi vere idee e quindi motivi conduttori del romanzo. La peculiare frammentarietà della scrittura di Jeanette Winterson ha reso preziosi i tanti altri romanzi attesi e letti con amore da un pubblico appassionato, ma Powerbook inevitabilmente si smaglia nel suo stesso dipanarsi. E insomma, se è vero - come dice l'autrice - che una storia è come una corda per funamboli tesa tra due mondi, qualcuno deve aver sabotato il numero circense perché la sensazione è quella di un precipizio appena ammortizzato dal cuscinone dell'esperienza e di un'innata vena narrativa.
Una storia che diventa tante storie, che accoglie tutto il lutto che l'ha generato sul filo della rete, questo è Powerbook. La voglia, la passione si configurano ora nel loro aspetto in negativo, cioè l'assenza, che costituisce, sì, tema del libro, ma soprattutto vuoto, virtuosistico manierismo salottiero, saldamente ancorato sui buoni propositi borghesi e su una formula che ha sempre funzionato benissimo.
"Cosa ti porta a Parigi?"
"Una storia che sto scrivendo."
"Su Parigi?"
"No, ma c'è dentro Parigi."
"Di cosa parla?"
"Limiti. Desiderio."
"Di cosa parlano gli altri tuoi libri?"
"Limiti. Desiderio."
"Non sai scrivere d'altro?"
"No."

(J. Winterson, Powerbook, p. 39)
La scrittura di Jeanette Winterson si è sempre configurata come autobiografia di un io sfuggente, allusivo, fiorente, anche i dialoghi diventano spesso occasione di poetica letteraria. Ma forse in Powerbook è più esatto parlare di autoreferenzialità, tutti gli stimoli, tutte le considerazioni di poetica che avrebbero potuto germogliare in un altro dei suoi non rari capolavori vengono invece legate, cucite grazie al suo consueto stile terso, splendido, e gemmano un'opera di parole che non diventano mai fatti, di dichiarazioni che non possono essere promesse né, se anche lo fossero, tanto meno essere mantenute. La stessa urgenza "programmatica" che nei precedenti romanzi mirava a risolvere i problemi dell'amore e della vita non solo non è più motivo fondante ma viene addirittura a confondere ancor più i fili del discorso.
Sperimentalismo? Forse nell'uso simbolico della terminologia informatica più elementare, ed è ancora troppo presto per discuterne gli esiti a lungo termine, ma manca l'armonia nuova che fa di un esperimento un organismo autosufficiente capace di vivere e nutrirsi della propria natura, e in special modo manca la strada nuova: siamo stati abituati sin dai primi romanzi a trasferimenti immediati da un Paese a un altro, da un tempo a un altro, dalla storia al proliferare fantastico di storie che sboccano l'una nell'altra e infine nella memoria affettiva più intima del lettore. C'è, è vero, una maturazione poetica, ma incompiuta sul piano della sintesi, della fulminea spinta geniale in un universo che sia realmente altro.
Lo spazio virtuale è il terreno su cui si costruiscono realtà diversissime come Parigi e Capri e la Turchia e il mondo intero: solo qualche tratto turistico, disimpegnato, distingue i luoghi deputati a una non-azione: accostamenti improvvisi per quanto motivati, eccessiva esplicitezza e insomma un lavoro analitico compromesso da una irrisolta tensione sintetica minano alcune ottime idee, già annacquate da una disillusione disarmante in chi aveva professato e continua a professare la religione dell'impossibile.
Molte pagine trasudano un bisogno istintivo, assoluto, di comprensione, che riesce anche a commuovere, sebbene il tono di fondo sia freddo e talvolta cerebrale e si nutra di tanta metaletteratura che ha fatto il suo tempo e che ha segnato la sua epoca proprio nella genialità in cui da molto si è esaurita. Il romanzo che si confonde con la storia, la storia con le parole e le parole con le azioni e i sentimenti: il mondo di Powerbook può essere cestinato in qualunque momento, ma se l'idea in sé è poco condivisibile, è una simile frustrazione a deludere chi ricordava in Jeanette Winterson una donna coraggiosa, folle e soprattutto, dietro la sensualità e l'irrevocabile polemica al sentimentalismo, la grazia inesauribile di un bel sorriso comunque ottimista e maliardo.

(Pubblicato la prima volta nel 2002 su «Prometheus», quindicinale di informazione culturale online che oggi non esiste più.)

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