Grigio è l'albero d'oro della vita, e la teoria è verde
- Il problema della prassi, come evergreen di una critica tronca del capitalismo, e la storia delle sinistre -
di Robert Kurz
SOMMARIO: *1 - Il malessere nella teoria * 2- Adorno a proposito della prassi ridotta e della "pseudo-attività" * 3 - "Prassi teorica" e interpretazione reale del capitalismo * 4 - Trattamento della contraddizione e "prassi ideologica" * 5 - Capitalismo come trasformazione del mondo: critica affermativa e critica categoriale * 6 - Teoria della struttura e teoria dell'azione * 7 - "Modernizzazione ritardata" e il postulato di una "inseparabile unità" fra teoria e prassi * 8 - Ragione strumentale * 9 - Il punto di svolta della teoria dell'azione. Marxismo occidentale e "filosofia della prassi * 10 - Il *marxismo strutturalista" ed il politicismo della teoria dell'azione * 11 - Il pendolo di Foucault. Dal marxismo di partito all'ideologia di movimento * 12 - Il ritorno del "soggetto". Metafisica dei diritti umani e falsa autonomia * 13 - Noi siamo tutto. La miseria del (post-)operaismo * 14 - Dalla capitolazione dell'ideologia autoreferenziale del movimento al nuovo concetto della "prassi teorica *
11. Il pendolo di Foucault. Dal marxismo di partito all'ideologia del movimento
A partire dagli anni '60, la dissoluzione della critica di sinistra del capitalismo, sulla linea della filosofia della prassi e del marxismo "strutturalista" althusseriano, è proseguita nella "prassi ideologica" dell'elaborazione teorica postmoderna, chiamata anche "post-strutturalismo". Come rappresentante esemplare di questa linea abbiamo Michel Foucault, le cui riflessioni hanno avuto una forte recezione a sinistra. Anche in Foucault si trova il postulato della "unità inseparabile fra teoria e prassi. Così, in modo espressivo, fa valere, contro la Scuola di Francoforte, "un'altra via" "che ha un orientamento empirico più forte... ma che significa anche un legame più stretto fra teoria e prassi" (Foucault, 1982).
Tuttavia, il vecchio postulato viene poi riformulato in modo differente, all’insorgere di un'ontologia della prassi sotto la forma delle celebri "pratiche discorsive". Il concetto caratteristico delle "pratiche" usato da Foucault, che ha conosciuto diverse formulazioni in diversi periodi del suo sviluppo (per esempio, nelle definizioni di "episteme" o di "dispositivo"), può molto bene - in combinazione con le sue copiose analisi materiali sulla storia della costituzione, della disciplina e dell'interiorizzazione della modernità - essere integrato in una teoria critica della scissione-valore; in tal senso, facendo uso di un'altra metafora di Foucault, si può già parlare di una "microfisica" delle relazioni feticistiche. Ma è proprio tale riferimento a questa natura che Foucault non è riuscito a produrre con il suo approccio; al contrario, egli sviluppa uno schema teorico che porta a promuovere una teoria critica della costituzione della forma storica.
Anche Foucault assume la critica dello "economicismo"; egli intende "liberarsi dagli schemi economici per fare l'analisi del potere" (Foucault, 1976). Tuttavia, a differenza dei rappresentanti del marxismo occidentale, rifiuta di definire la "economia", per così dire, come una "profonda e unica ultima istanza" (Foucault, 1978). Nel rigettare questi svolazzi dei marxisti occidentali in difficoltà - utilizzati ancora solamente nella diplomazia teorica sulla base di una formulazione evasiva di Engels - Foucault taglia anche l'ultimo e tenue legame con la problematica della matrice feticista a priori. Dopo tutto, egli non tratta criticamente la definizione ridotta di "istanza economica", optando semplicemente per la sua eliminazione; in realtà, non è interessato al capitalismo, né alla critica del capitalismo. All'apparire del suo libro "Le parole e le cose" (Foucault, 1966), Foucault, come Althusser, non tratta le questioni intorno alla critica dell'economia politica dal punto di vista del contenuto, ma solo in forma puramente epistemologica; e d'ora in avanti del tutto fuori dalla teoria di Marx.
Per il suo atteggiamento, Foucault è di già un "post-narxista" di sinistra, che forza il movimento per lo sganciamento dal marxismo di partito, ma in una direzione che è propriamente una direzione illusoria. La sua critica dell'ideologia del soggetto, che inizialmente condivideva con lo strutturalismo (così come tutte le sue ontologizzazioni), e la critica dell'illuminismo che gli era associata, hanno come obiettivo solo quello di negare, in generale, ogni e qualsiasi teoria esauriente dei contesti storico-sociali; si volge contro le "teorie globali, autoritarie" (Foucault, 1978), soprattutto il marxismo, affermando: "(Ogni e qualsiasi) ripresa delle categorie della totalità ha, in realtà, un effetto frenante" (id.). Se Althusser ha già rinunciato al concetto di totalità in quanto "hegeliano", invece di trasformarlo criticamente, Foucault, da parte sua, non arriva nemmeno a distinguere sfere o sotto-sistemi sociali "relativamente autonomi". Riprende anche il guscio vuoto del "tutto" e vuole, invece, "...restare nel campo dell'immanenza delle pure singolarità (!). Pertanto: rottura, discontinuità, singolarità, pura descrizione..." (Foucault, 1992).
Le "istituzioni, le pratiche, i discorsi" (Foucault, 1978) in quanto tali non sono già più compresi "in" un contesto sociale sovrastante, e neanche in zone parziali, ma come singolarità, quindi, più che mai, in modo positivista: "L'analisi delle positività... che non mette in rapporto pure singolarità con una specie o un'entità, ma semmai a condizioni banali di accettabilità (!), sviluppando una rete causale che è allo stesso tempo complessa e limitata... (Per tale motivo) le relazioni hanno bisogno di essere moltiplicate, i diversi tipi di relazione, le differenti necessità di concatenamento hanno bisogno di essere differenziate, i processi eterogenei hanno bisogno di essere osservati nella loro sovrapposizione" (Foucault, 1992). "Non l'essenzialità", ma " condizioni banali di accettabilità": qui sta un programma riduzionista. Viene rotto ogni e qualsiasi concetto e, di conseguenza, ogni e qualsiasi critica di una definizione dell'essenza sociale. In realtà, non esiste ancora alcuna società ( e tanto meno alcuna storia), ma semmai solo un groviglio impenetrabile formato da "singolarità"o dai cosiddetti insiemi, nella "logica di un gioco di relazioni interattive con i suoi margini di incertezza in costante mutazione" (id.) Il concetto di capitalismo diventa privo di senso e, conseguentemente, anche la critica del capitalismo.
Ciò che rimane, come definizione generale astorica e vuota di contenuto, è, invece, il concetto di "potere". In qualche modo, tutte le relazioni sono sempre già "relazioni di potere" che ora si sviluppano in quanto insiemi di singolarità, e non già in opposizioni di "classe" (ridotte sociologisticamente, separate dalla loro connessione costitutiva) come nei filosofi della prassi. Alla luce della critica del feticcio, il fluido di potere non ha fondamento antropologico ( e neppure biologico), né può essere inteso come relazione di volontà senza presupposti tra classi o gruppi e basata solo sui mezzi del potere esterni (per esempio le armi). Il potere che si esprime nel dominio si sviluppa, semmai, a partire da una storia di relazioni feticistiche, nelle quali la rispettiva matrice a priori che abbraccia tutti gli individui stabilisce, a partire da sé stessa, una gerarchia funzionale delle relazioni di dominio, i cui "agenti" (in Marx: maschere di carattere) eseguono gli imperativi delle forme di azione presupposte, senza esserne i portatori "concettuali". Ma dal momento che, in Foucault, questa liquida ogni e qualsiasi parvenza di un concetto di essenza al di là del marxismo, il fluido del "potere" si rivela come un ontologia sui generis, non già fondata, ma presupposta positivisticamente.
Così tutto è sempre "potere" senza fondamento; la "logica di un gioco di relazioni interattive" emerge come un eterno "gioco di potere" nello spazio delle "singolarità", nelle quali si sviluppa anche la politica e l'economia della modernità. Per tale ragione, il quadro referenziale teorico dell'ontologia del potere astratto di Foucault non è già Marx, ma esplicitamente Nietschze, ed implicitamente Heidegger. Quanto più i concetti analitici delle "pratiche", e le analisi materiali con esse relazionate, possono essere integrate criticamente nella teoria della scissione-valore, tanto più dovrà essere combattuto, in modo intransigente, lo schema teorico del quadro referenziale sussidiario dell'Ideologia Tedesca (che è, in generale, costitutivo della "prassi ideologica" postmoderna). In fin dei conti, Foucault, con la sua atomizzazione coerente della società e della storia, porta all'estremo l'offuscamento del contesto della forma categoriale, già preparata in seno al marxismo occidentale, abbandonando, così, il campo della critica radicale in generale; la sua concezione finisce in un posizionamento e in una prassi "di sinistra" insieme ad un'ontologia "di destra".
In questo modo, per Foucault, anche il concetto di ideologia e, di conseguenza, sia la teoria positiva dell'ideologia che la critica dell'ideologia sono senza senso, e superflue. Se la sociologia della conoscenza ancora veicolava un concetto positivista di ideologia - così come è stato inteso dai filosofi della prassi e dal "marxismo strutturalista" di Althusser, per affermarlo da un lato che supponevano "corretto" (proletario) - in Foucault sparisce, insieme all'ultimo riferimento vuoto al contenuto della forma sociale, anche il problema dell'ideologia, che si disfa in alternanti "produzioni di verità", la cui relatività paradossalmente assolutizzata non soggiace ad una qualche oggettività costituita, neppure negativa. Invece, si tratta ancora, solamente, di "pratiche discorsive" nel fluido del "potere", nelle quali, in un certo modo, è sempre "vero" solo quello che si impone in processi complessi come "accettazione", finché questa non viene nuovamente messa in discussione, ed una "altra produzione di verità" intraprende la sua marcia. Così, i "giochi di potere" sono sempre anche "giochi di verità" (Foucault, 1984). Nella teoria critica della scissione-valore, il concetto di "produzione di verità" può anche essere assunto in questo senso critico e può diventare fertile, nel mostrare, nelle analisi dettagliate di Foucault, i meccanismi dell'ideologizzazione a tutti i livelli sociali. Ma, in Foucault, tali meccanismi esistono esplicitamente di per sé, in una percezione positivista; non sono meccanismi "di qualcosa" e "in" riferimento alla costituzione della forma sociale che finisce per essere dissolta in quelle "singolarità" di relazioni di potere e di giochi di verità.
Pertanto, nel concetto di "singolarità" discontinue, per Foucault già esiste solo la possibilità di "critiche discontinue, particolari e locali" (Foucault, 1978). Questo carattere "locale della critica" significa ora, più che mai, un politicismo della "prassi", ma un politicismo ancora più ridotto di quello del marxismo occidentale, e con lo stesso mantra di una "trasformazione dei rapporti di forza", che ora non possono più continuare ad essere relazioni tra le classi sociali o tra altre meta-entità sociali. In questo processo, si tratta della "creazione di un rapporto permanente di forza" in un arco di condizioni di "accettabilità" che costituisce quel "campo di immanenza" delle singolarità e "...in un campo di possibili aperture ed indeterminazioni, di eventuali inversioni e dislocamenti, il quale diventa fragile ed instabile".
Questo concetto di "dislocamento" ha fatto carriera nella sinistra postmoderna. Il politicismo aconcettuale è diventato allora una "stazione ferroviaria di dislocamento" delle infinite lotte particolari che sorgono al posto del fallito rovesciamento del centro" (Dosse, Storia dello strutturalismo, 1992). Ma se non c'è una definizione di essenza, allora non ci può essere neanche un "centro"; al posto della definizione marxista ridotta di essenza sociale, non nasce una riflessione ampliata di quest'ultima, bensì la negazione d'ora in poi assoluta del contesto di forma sociale in generale, la cui tematizzazione viene denunciata come "essenzialista". "Si tratta" - afferma Foucault - "di lotte 'immediate', e questo per due motivi. In primo luogo, le persone criticano le istanze di potere che sono più vicine a loro e che hanno effetto su ciascun individuo. Non cercano il nemico n°1, ma l'avversario immediato. In secondo luogo, non pensano che la soluzione dei loro problemi sia da qualche parte nel futuro (ossia, nella promessa di una liberazione o di una rivoluzione, nella speranza della fine della lotta di classe) ..."(Foucault, 1982). Si può riconoscere chiaramente che si tratta di un riduzionismo della critica nell'ambito della metafisica dell'intenzionalità della teoria dell'azione, nella quale lo strutturalismo di Foucault deve improvvisamente trasformarsi; invece del nemico "centrale" (di classe) sorgono ora nemici "locali", nella particolare diversità delle istanze singolari del potere, invece di arrivare - attraverso la critica del sociologismo (sia della teoria dell'azione che della teoria della struttura) delle relazioni sociali intenzionali - alla critica della matrice a priori socialmente sovrastante.
La capitolazione occidentale della critica radicale del capitalismo è quindi avvenuta attraverso l'"anti-essenzialismo" postmoderno, il quale ora non ha più bisogno di alcun argomento per l'offuscamento sistematico della totalità sociale negativa. Dopo il problema del tutto sociale - che in genere giustificava il concetto di formazione del "capitalismo" - di trovarsi slegato in un'ontologia astorica del potere, la particolarizzazione della critica può essere associata oltremodo ad una "proibizione" di ogni e qualsiasi critica del "tutto", già non più comprensibile nemmeno nella formula concettualmente vuota di Althusser o della filosofia della prassi: "Foucault lascia che il politico fluisca nella dimensione allargata di un campo di potere che estende fino ai margini esterni... In ogni caso, il concetto di potere di Foucault diluisce la dimensione politica, quando viene scagliato nell'infinito... Circola in una rete fra gli individui, funziona in catene attraversate da loro, prima di tornare ad unirsi per formare un tutto. Se non c'è un crocevia del potere, non può nemmeno esserci un luogo di resistenza contro il potere. Così come esso è onnipresente, non può essere svuotato, esso sta in ogni individuo. Così come tutto è potere in ogni sua parte, esso non sta in nessun luogo. La resistenza contro il suo esercizio smette di aver ragione d'essere" (Dosse, 1992).
La sparizione delle determinazioni della forma storica concreta del capitalismo, così come della "economia", della "politica" e delle "istituzioni" in generale nell'ontologia del potere, rende inutile la conoscenza esistente per cui l'opposizione sociale ed il conflitto sociale non sono niente di sociologicamente esterno; invece, si riproducono, completamente, "in ciascun individuo" (per esempio, la concorrenza e le ideologizzazioni ad essa associate). Una volta che il "potere", che ha preso il posto del concetto di capitalismo e del concetto di formazioni sociali in generale, viene considerato, ricorrendo a Nietschze e ad Heidegger, permanente ed intangibile, non può essere nemmeno criticato in quanto tale. Questo potrebbe funzionare solo se non fosse preso di per sé, ma venisse riconosciuto come un fattore di costituzione sociale storicamente specifico. Ma una volta che tutti i gatti sono grigi di notte nel "campo del potere" che tutto abbraccia, si ha solo "dislocamento" del potere nello spazio delle "singolarità", cioè, dei fenomeni sociali particolari. In tal modo, l'inflazionamento del concetto di politica (della sua "propagazione infinita" senza il contesto di forma) continua ad essere mantenuto al di là del marxismo occidentale.
Non è possibile promuovere qui un dibattito allargato con Foucault (cosa che rimane un desiderio dell'elaborazione teorica della critica della scissione-valore), ma solo situare le sue riflessioni nel contesto dell'ontologia della prassi. E sotto questo aspetto si può affermare che, con Foucault, il movimento del pendolo della sinistra occidentale è forzato nella direzione del paradigma della teoria dell'azione; e d'ora in avanti considerevolmente separato, coerentemente, dalla critica marxiana del capitalismo. Allo stesso tempo, ha trasformato la "coagulazione" delle azioni sociali al di là dell'istituzionalismo, riducendole a "singolarità" fluide. Il momento oggettivista di approccio della teoria della struttura, che nello strutturalismo del dopoguerra era già liberato dai residui della filosofia della storia e anche dalla comprensione ridotta di un "centro economico", si è diviso, da un lato, nella meta-oggettività "superflua" dell'ontologia del potere, già non passibile di essere riflessa concretamente, e, dall'altro lato, nell'oggettivazione discontinua delle "relazioni interattive" micrologiche, le quali, alla luce della teoria dell'azione, sono già solo accessibili a "dislocamenti" permanenti.
L'eterna lotta per le "condizioni di accettabilità", in eterne "produzioni di verità" di conio particolar-relativista, rimangono senza obiettivo storico e sociale. Foucault ha costretto la teoria in un nodo con il trattamento della contraddizione immanente, una volta che la questione della propria essenza sociale è stata anch'essa sostituita e totalmente liquidata dai ridotti schemi istituzionali e politico-economici del marxismo occidentale. Con questo, il compito di una "rottura ontologica" si è allontanato ancora di più. Si è capito così perché la scissione sessuale, come determinazione dell'essenza, deve rimanere impensabile, giacché essa risiede a livello di costituzione offuscata della forma feticistica. La moderna relazione tra i sessi può sorgere, nel migliore dei casi, più come una "singolarità" nel "campo del potere"; e Foucault, al contrario del marxismo occidentale, si è interessato a questo.
La sua trasformazione riduttiva del modo di socializzazione negativa in "pratiche discorsive" si disconnette, liberandosi dal paradigma della "lotta di classe", in direzione sbagliata, sulla linea dello spostamento (affiancato dallo strutturalismo) nella teoria dell'azione; il problema del trattamento della contraddizione immanente, che include "l'unità fra teoria e prassi" a priori, non è stato esaminato criticamente, ma semmai atomizzato. Per il trattamento atomizzato della contraddizione, ora non c'è più bisogno né di partito né di solidarietà partitaria; ma solo poiché è stata sepolta la questione della totalità sociale e, di conseguenza, della trasformazione sociale per il superamento del capitalismo. La cosa che era meramente implicita nei marxisti occidentali, diventa esplicita in Foucault. Con la sua oscillazione più ampia che riformula lo strutturalismo del dopoguerra nella teoria dell'azione (in questo senso chiamato anche "post-strutturalismo"), il "pendolo di Foucault" segna la transizione del marxismo di partito verso l'ideologia del movimento nella sinistra. Tuttavia, il prezzo pagato per questo "superamento" è la "localizzazione" della critica nei fenomeni isolati decontestualizzati.
11 – segue -
Robert Kurz
fonte: EXIT!