Licia Satirico per il Simplicissimus
La Corte europea dei diritti dell’uomo ha stabilito che la legge 40 del 2004 viola il diritto al rispetto della vita privata e familiare di Rosetta Costa e Walter Pavan, portatori di fibrosi cistica, che potrebbero avere un figlio sano con le tecniche di fecondazione assistita se solo queste fossero disciplinate in modo ragionevole. La legge italiana vieta infatti la diagnosi pre-impianto sull’embrione, che eviterebbe la trasmissione della terribile malattia come di altre patologie genetiche, chiamando in causa il divieto di pratiche eugenetiche: è un po’ come dire che prevenire le malattie è un modo indebito per migliorare la razza umana, nata per soffrire ben prima dell’era dei tecnici.
Ora lo Stato dovrà versare alla coppia 15.000 euro per risarcire i danni morali e 2500 euro per le spese legali, meditando sull’opportunità di riscrivere una buona volta una legge incostituzionale, paternalista, mortificante e cleropositiva. Non è un’antipatia personale: persino l’Azerbaigian ha una legislazione più evoluta della nostra in materia di embrioni. Dovrebbe semmai essere una sana antipatia laica verso una legislazione confessionale, ma i temi della laicità sono ultimamente in dissolvenza, in perfetto pendant con nuovi ibridi elettorali laicocrociati (forse nascono da qui i famosi zombie di cui Bersani discetta).
Al di là dell’insensato divieto di fecondazione eterologa, su cui la nostra Corte costituzionale ha da poco deciso di non decidere, l’intero impianto della legge 40 si fonda su una premessa sconvolgente: l’embrione gode di una tutela giuridica di gran lunga superiore a quella del nascituro e dei suoi stessi genitori. La Corte di Strasburgo ha colto quest’intima contraddizione: in Italia, per singolare paradosso, è vietato esaminare lo stato di salute dell’embrione prima del suo impianto nell’utero, ma è poi possibile praticare l’aborto terapeutico in caso di malattia genetica, con costi umani assai più dolorosi.
Stiamo parlando, tra l’altro, di un divieto fantasma, non previsto in modo esplicito da alcuna disposizione ma desumibile dall’intero testo legislativo: presente nelle prime linee guida e poi cancellato dal ministro Livia Turco nel 2008, è stato restaurato in extremis nello scorso novembre dalla zelante Eugenetica Roccella durante il suo ultimo giorno da sottosegretario alla salute. In quell’occasione la Roccella ebbe modo di precisare che la legge 40 sarebbe dedicata a chi non è fertile e non già a chi è malato: affermazione odiosa, oggi respinta dalla giurisprudenza europea.
È l’Europa che ce lo chiede, allora, ma noi siamo abituati ad ascoltare l’Europa solo quando ci conviene: quando dobbiamo smembrare la concussione o massacrare il pubblico impiego, quando dobbiamo rendere precario il diritto al lavoro, quando vengono messi in discussione i presupposti sostanziali della nostra democrazia rappresentativa. I temi bioetici possono attendere, nella pesante aura di compromesso che accompagna questo triste dibattito politico di fine estate. Inutile farsi troppe illusioni: le alleanze trasversali in corso di sperimentazione si saldano sul presupposto che le unioni civili tra persone dello stesso sesso possano attendere, che la fecondazione assistita vada bene così com’è nonostante le bocciature solenni, che il testamento biologico sia un documento eretico in cui non si può scegliere di entrare nella morte a occhi aperti.
Il nostro Stato si preoccupa per noi e non riusciamo ad apprezzarlo: ha il monopolio dei tabacchi ma redarguisce i fumatori, gestisce il gioco d’azzardo ma curerà le ludopatie, controlla la nostra alimentazione tassando le bibite gassate e quelle zuccherate. Cura il nostro futuro monotono rendendolo flessibile, cura i nostri stipendi pietrificandoli, cura la nostra salute eliminando gli ospedali, cura le nostre anime con la curia (anche se la curia non paga l’Imu), cura l’embrione ma non i malati.
A pochi mesi dalle elezioni politiche, con speranze sempre più esigue di cambiare il porcellum, vorremmo un parlamento che non consideri mercanzia elettorale il tema dei diritti. Non ci basta un giudice a Strasburgo, o almeno non ci basta più.