Lo chiamano "Triangolo di smeraldo" perché la zona è un intricato susseguirsi di foreste e montagne ammantate di verde, lì dove i confini di Cambogia, Laos e Thailandia si toccano.
Siamo nella provincia di Preah Vihear, nell'estremo nord della Cambogia, in una zona remota e molto povera - fino a qualche anno fa non c'era una strada asfaltata - e non molto tranquilla.
Questa zona fu la roccaforte degli khmer rouge, gli spietati assassini invasati del regime del dittatore Pol Pot, fino alla loro caduta, nel 1998. Pol Pot e compagni restarono a lungo rintanati qui, tra le foreste, vicini al confine thailandese, pronto da utilizzare in caso di fuga.
La zona del Preah Vihear è da sempre territorio conteso tra Cambogia e Thailandia e ancora oggi i contrasti non si possono considerare risolti. Gli ultimi scontri armati risalgono al 2008-2009, ma la zona è ancora oggi presidiata militarmente. Si dice, inoltre, che sia ancora disseminata di mine, quindi è consigliabile non avventurarsi nella foresta e non abbandonare mai i percorsi tracciati.
Ma perché abbiamo deciso di spingerci fin qui? È presto detto.
In cima ai monti Dangkrek, sulla sommità di una scarpata, c'è il Prasat Preah Vihear, uno spettacolare tempio risalente all'epoca pre-angkoriana, nel 2008 dichiarato Patrimonio dell'Umanità dell'Unesco. La vista dall'alto della sommità del monte – spettacolare - spazia sui territori di confine tra Cambogia, Thailandia e Laos.
Ma andiamo per ordine. Arrivare al tempio con una normale automobile è un'impresa ardua, oserei dire impossibile. La strada in cemento è troppo tortuosa e ripida; ci vuole un pickup 4x4 attrezzato. Ci facciamo accompagnare in pickup da delle guide del posto. Ci fanno sedere dietro, ai lati del cassone. Parola d'ordine "Reggersi forte!" (i muscoli delle mie braccia si ricordano ancora di quell'avventura).
La strada che porta al tempio di Preah Vihear
Arriviamo alla base del tempio. C'è qualche chiosco, qualche baracca, un piccolo villaggio dove le persone vivono in assoluta povertà.Il nostro autista - come per magia - estrae dal pickup la sua amaca; mentre noi saremo impegnati con la visita al tempio, lui si farà un sonnellino (la capacità tutta cambogiana di avere sempre a portata di mano un'amaca di cui approfittare appena se ne presenta l'occasione è una cosa che mi fa morire).
Il tempio di Preah Vihear è strutturato su cinque diversi livelli, lungo il versante della collina. Come Angkor Wat è un tempio induista, rappresenta il monte Meru, la montagna sacra dell'induismo, ed è dedicato a Shiva, ma a differenza di Ankor Wat (e della maggior parte dei templi che abbiamo visto fino a quel momento) non è disposto da est a ovest ma lungo l'asse nord-sud.
Saliamo dallo scalone monumentale, proprio alla base del tempio, dove c'è il gopura del quinto livello. I livelli sono scanditi dai gopura, dei santuari riccamente scolpiti, posti ai lati del varco. I gopura del quarto livello rappresentano l'oceano di latte, tema caro all'induismo, gli imponenti gopura del terzo livello si aprono su una balaustra di naga per arrivare infine in cima, al secondo e al primo livello, la parte più sacra di tutto il tempio.
Importante luogo di pellegrinaggio durante il regno khmer, ancora oggi il Prasat Preah Vihear è molto frequentato dalle famiglie cambogiane e da monaci in visita. Le vesti arancioni dei monaci si stagliano contro il cielo azzurro e il verde della vegetazione. Altari di preghiera raccolgono i fedeli. Il profumo dell'incenso riempie l'aria.
La vista dall'alto della collina è spettacolare, l'atmosfera è mistica. Sotto di noi, in lontananza, si vede distintamente una polverosa strada rossa che si fa largo tra la boscaglia, in terra ormai laotiana. A destra le pianure del nord della Cambogia. A poca distanza, sulla sinistra, sventola la bandiera thailandese.
Famiglie cambogiane si fermano per il picnic; c'è chi lascia offerte, chi prega e brucia un incenso. I giovani monaci in visita al tempio ci chiedono di fare una fotografia con loro. In effetti sono pochi i turisti che si spingono fin quassù. Lo ripeto sempre e lo ripeto anche questa volta: la Cambogia non è solo Angkor Wat.