Magazine Diario personale

Preambolo alla raccolta “Per i cani e per gli uomini” by Sandro Amici

Da Parolesemplici

Ho-oponopono1E’ pressoché incolmabile la distanza tra esseri umani. Una fiaba per bambini la possibilità che hanno due anime affini di incontrarsi. E’ una fandonia l’armonia dei sensi e dei sentimenti; un inganno per creduloni e per sentimentalisti. L’unica verità certa è ciò che vediamo e che ci circonda. Questo verde quasi giallo degli alberi: il cielo misto a nuvole di un dicembre incerto, ora uggioso ora del tutto libero da nubi, il miagolare urlato dei gatti in calore al quale risponde, rabbioso e scoraggiato, l’abbaiar dei cani. Il calore di questa veranda assolata, la pianta che ho accanto, il BIP dell’antifurto della vecchia signora che si sente perseguitata dagli uomini e dalla loro natura; che fa beneficenza pur vivendo in un appartamento in villa che le costa tremila euro al mese e che si prodiga per i malati senza speranza nonostante le BMW ultimo tipo e top di gamma che hanno i figli, dottori da qualche parte, affaristi della malattia. L’unica cosa certa è il lento, a volte troppo rapido, furente e disadorno andare della vita, fatta di alti minimi e di botri catastrofici, che ti gettano in basso (ma proprio in basso) nella scala della considerazione verso te stesso e verso gli altri. Che senso ha avuto il nostro voler vivere in gruppo? La ricerca strenua dell’anima gemella, il dolore del sentirsi soli e in un certo qual senso il fastidio di esser liberi. Il dover a tutti i costi fare accolita, gruppuscolo, ridda di corpi. Sopportare gli umori, i fastidi, le ilarità grottesche e malumori feroci. Che senso ha avuto la famiglia, se non quello di rifugio economico? Quale altro pregio c’è stato nel crescere in un consesso che ha cercato durante ogni generazione di imporre il suo pensiero? E che senso ha avuto per ogni generazione che c’è cresciuta cercare di andare contro quelle imposizioni? E così a ruota, a perdifiato, a ripetizione. Più avanzano gli anni e più mi convinco che l’uomo trova la sua pace stando in solitudine, vicino al cane che ama, non distante mai dalle sue poche e vissute passioni. Tutto il resto è un costante, penoso cercare di venirsi incontro, il più delle volte per pigrizia o per paura. I così detti “compromessi”.  E quando poi niente più funziona, cercare di salvar ciò che è salvabile: la reputazione, il buon nome… quante fregnacce! Cosa abbiamo da salvare che non finisca in polvere? Abbiamo case? Crolleranno! Abbiamo figli? Ci lasceranno da soli, per quanto ci amino.
Ma perché ho scritto tutto questo? Ah si: voglio che lo si legga. Ma voglio che si legga una storia compiuta; che abbia un qualcosa di profondo che rimane. Tanto lo abbiamo capito: solo le cose scritte, da qualche parte, rimangono. Rimangono ad ammuffire su un soppalco, sopra ad un polveroso scaffale, dentro una libreria. E forse mai nessuno le leggerà. Se il mio cane sapesse farlo, so che le leggerebbe. Ma è il mio unico sostenitore su questa terra. E perciò dovrò scrivere da cani; con quello stesso cinismo ed istinto che permette loro di sopravvivere. Scrivere senza orpelli e senza mezze misure. Dire quello che sento. Pisciare per bisogno; bere per sete, essere sempre alla costante ricerca perché non si sa mai se si potrà cercare domani, se saremo in grado, se non saremo polvere.

Questo è pensabile solo grazie alla poesia. La poesia ti permette di essere quanto più possibile vicino alla natura autentica e animale. Gli animali non hanno bisogno di dialogo, di frasi che abbiamo un soggetto un verbo e un complemento. Gli animali trovano nell’aria le loro tracce: nel muschio polveroso, in mezzo all’erba e a volte alzano il muso, quasi increduli, perché la loro vita per la maggior parte è in basso. Il muso levato rappresenta per loro una rivelazione: una traccia differente, quasi un dono. E quello è il caso di due parole che ben si armonizzano, che stanno bene insieme. Quello che gli uomini cercano ma che non possono trovare tra di loro. Gli uomini cadono nell’inganno dei corpi. E’ questo che li uccide. Se dimenticassero di avere un corpo; se la loro urgenza risiedesse soltanto nel cercare un’armonia, ecco che sarebbero salvi.
Io cerco la mia salvezza in due parole che si accoppiano e che fanno l’amore. In me o in un altro non la cerco più.


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