La maggior parte dei precari sono persone meritevoli, che hanno studiato, fatto la gavetta e che continuano a lavorare sottopagati e senza garanzie. Molti hanno accettato condizioni di lavoro inique, o lavori che non avrebbero mai sognato di fare, pur di acquisire – non dico l’indipendenza economica, ché quella oramai è una chimera – ma almeno un livello di realizzazione, di maggiore dignità sociale. Questi sono quelli che chiamo precari e per cui nutro grande ammirazione e rispetto. Lo sono stato anche io per qualche anno, ma in una fase della storia diversa (la fine degli anni ’90), quando a fronte di un po’ di sacrifici avevi almeno la speranza che un giorno ne avresti fatti un po’ meno. Così è stato è stato per me: sono stato fortunato. Ma c’è un’altra categoria di persone che ama fregiarsi del “titolo” di precario: sono ragazzi che non sono affatto vittime del sistema sociale e lavorativo iniquo, ma vittime di se stessi, della loro rigidità, della loro ambizione. Queste persone non hanno mai fatto nulla per sviluppare delle competenze e oggi usurpano il termine, ne acquisiscono il titolo per il solo fatto di non avere un lavoro stabile. Ma nella maggior parte dei casi neanche lo cercano, perché non ne esiste uno disponibile che corrisponda alle loro aspettative. Tra questi ho conosciuto alcuni “politici”, anche giovani, anche di sinistra, che spendono le loro giornate su Facebook per la difesa dei diritti dei lavoratori, degli operai, degli studenti, delle maestranze e dei precari, appunto. Anni buttati in campagne politiche, senza sapere neanche cosa voglia dire avere una sveglia che suona ogni mattina alle 6:30, giorno dopo giorno, anno dopo anno, e avere una vita che passa quasi senza accorgersene. L’aspirazione di questi non lavoratori è rappresentare i lavoratori nelle sedi istituzionali, negli enti locali, nel Parlamento. Li vedi sfrecciare sulle bacheche di Facebook in cerca di visibilità e consenso, sempre pronti a cavalcare l’ultima protesta, fosse anche creata ad hoc sulla base di qualche malevolo equivoco (come l’infelice battuta di Monti sul posto fisso, ad esempio, che in realtà ha un contenuto del tutto opposto a quello che si vuol far passare). Questi non sono precari, sono stabili inquinatori di pensiero, che aspirano a diventare classe dirigente. E hanno ambizione, tempo e – evidentemente – risorse sufficienti per riuscirci. Io li vedo come un grosso pericolo.
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