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Preferisco il rumore del mare

Creato il 16 dicembre 2014 da Annagiulia @annagiuliabi

Nella mia famiglia, vita e lavoro non sono mai stati entità gemelle.

Neanche sorelle, anzi neanche imparentate alla lontana.

Nel bene e nel male, sono cresciuta con lo stesso tipo di mentalità: aziendalismo sticazzi, chinare la testa anche no, giustificare ingiustizie neanche per sogno.

Non è sempre stato facile, e ancora oggi non lo è: il settore privato è spesso costruito su diversi livelli di schiacciamento costante del dipendente, della sua volontà, della sua voglia di far valere i propri diritti.

All’età di ventun’anni, lavoravo come cassiera – pardon, addetta al servizio clienti, in un negozio del centro. Si vendeva il superfluo, e a volte un po’ di cultura.

Sabati e domeniche al lavoro, un part time promosso a full time quasi senza avvertire, capi settore e dirigenti impegnati a recitare – assai male – la parte degli amici. Per fotterti meglio, bambina mia.

Dopo sei mesi di lavoro, osai chiedere un giorno di permesso.

Me lo negarono.

Andai dalla rappresentante sindacale, che mi rispose “lo sai come va qua dentro“.

Le mancavano pochi mesi alla pensione.

Preparai le dimissioni, con effetto immediato, e li mandai cordialmente affanculo.

Per me l’aziendalismo non esiste, è una bugia grande come il mondo. Essere aziendalisti significa sovrapporre vita e lavoro, e questo non può esistere. Non senza impazzire.

Chi spinge i dipendenti verso la cieca fedeltà al lavoro, gioca sporco.

Chi fa credere che i diritti siano concessioni è un disonesto.

Chi impone condizioni impensabili – fermati dopo l’orario, vieni di domenica, rispondi alle email in orario serale, vieni in ufficio a Natale, occupati di mansioni che non ti competono – vuole male ai suoi collaboratori.

Ora rileggo il post un paio di volte, inspiro profondamente e vado a litigare con le Risorse Umane.

Perché come ho scritto poco più su, non è facile per un cazzo.

Preferisco il rumore del mare



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