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Preistoria e protostoria in Sardegna 2° parte di 3
Creato il 27 novembre 2010 da Pierluigimontalbanodi Paola Mancini
A partire dal Neolitico medio, e fino al Neolitico finale, si popola anche l’entroterra; continua l’uso dei ripari sotto roccia, ma nascono anche i primi villaggi in capanne come quello di Pilastru ad Arzachena. Le maggiori testimonianze provengono, tuttavia, dai luoghi funerari, in particolare, dalle necropoli a circoli megalitici di Li Muri e La Macciunitta ad Arzachena. Si tratta di sepolture costituite da una cista quadrangolare in pietra messa al centro di un cerchio in muratura e, in origine, coperta da un tumulo di terra e pietrame che formava una sorta di collinetta artificiale. Alcuni menhir, posti nei punti di tangenza tra i circoli, costituivano presumibilmente i segnacoli delle tombe, e le cassettine che si trovano all’esterno erano utilizzate, probabilmente, per la deposizione delle offerte.
Le necropoli a circolo galluresi sarebbero le prime manifestazioni del megalitismo sardo, comparso con la cultura di San Ciriaco, momento in cui si verifica un cambiamento nella società neolitica con l’intensificarsi degli scambi e, con essi, delle relazioni sociali; una conferma arriva dagli oggetti di grande raffinatezza qui rinvenuti, veri e propri beni di prestigio, tra i quali vasi in pietra, accettine e vaghi di collana in steatite e pietre dure che trovano confronti puntuali in tombe analoghe rinvenute e indagate nel sud della Corsica, nella Francia meridionale e nell’area pirenaica. A partire dalla successiva cultura di Ozieri il megalitismo si diffonde in modo capillare e origina in Sardegna, così come nella vicina Corsica, necropoli a circoli più complessi e articolati di cui la più celebre testimonianza è quella di Pranu Mutteddu a Goni. In questo periodo compaiono anche i dolmen che segnano un cambiamento nel rituale funerario con il passaggio dalle deposizioni singole e sigillate al momento della deposizione proprie dei circoli, alle deposizioni plurime, garantite con la possibilità di aprire più volte il sepolcro per accogliere nuove sepolture. I dolmen galluresi sono sparsi nel territorio, per lo più isolati o a piccoli gruppi: Li Casacci ad Arzachena, Santu Larentu-Vena d’Idda a Berchiddeddu e, più noti, i dolmen di Ciuledda, Alzoledda, Billella e Ladas a Luras.
Per quanto riguarda le grotticelle sepolcrali scavate nella pietra note come domus de janas, il loro utilizzo, diffusissimo nelle aree di cultura Ozieri, è attestato in Gallura solo in modo sporadico e limitato alle zone più marginali dove filtravano con più facilità le influenze culturali delle zone limitrofe nelle quali sono molto rappresentate: Anglona, Logudoro, Monte Acuto e Baronia. Cito qui come esempio le domus di Lu Calteri a Trinità d’Agultu, quelle di Tisiennari a Bortigiadas, una delle quali con motivi incisi sulle pareti interne, e quelle di San Lorenzo e Solità nell’agro di Budoni.
La rarità di questo tipo di monumento è dovuta, presumibilmente, all’estraneità culturale e religiosa dell’ipogeismo artificiale nella Gallura neolitica, che continua la tradizione megalitica consolidatasi con i circoli funerari prima e con i dolmen poi. Non si deve, infatti, alla gran quantità di tafoni disponibili, alcuni dei quali hanno l’aspetto di vere e proprie domus naturali, né tantomeno alla durezza della roccia granitica; esistono, infatti, intere necropoli scavate nel granito in altri territori, alcuni dei quali inseriti nella provincia Olbia Tempio ma culturalmente estranei alla Gallura, come Buddusò e Oschiri.
Alla fine del Neolitico la diffusione dei metalli pone in secondo piano gli strumenti in pietra e la Gallura perde il suo ruolo di testa di ponte, strettamente connesso alle rotte dell’ossidiana. A questo potrebbe essere imputabile il rarefarsi dell’insediamento. Recenti acquisizioni, provenienti dalle isole di La Maddalena e da quella di Tavolara, hanno permesso tuttavia di arricchire il quadro di conoscenze sull’età del Rame, le cui attestazioni sembravano limitate a sporadici frammenti ceramici rinvenuti in qualche tafone. A partire da queste scoperte, dovute in particolare al rinvenimento di materiali della cultura di Monte Claro da parte di G. Pisanu nella spiaggia di Spalmatore a Tavolara, sono stati individuati e sono in corso di studio da parte di chi vi parla altri contesti eneolitici galluresi, anche nell’entroterra.
A questo periodo potrebbero essere riconducibili anche alcune muraglie megalitiche, almeno nel primo impianto. Alcune di esse come quella di Monte Pinu, che segna il confine amministrativo tra i comuni di Olbia e Telti ed è riprodotta sulla copertina del libro, si trovano isolate e prive di qualunque elemento di cultura materiale che possa ricondurle a età preistorica o protostorica; si attendono pertanto i risultati delle ricerche in corso per tentare di comprenderne la reale attribuzione cronologica. La maggior parte delle muraglie comunque, a onor del vero, si trova in luoghi frequentati in età nuragica come quelle di Riu Mulinu a Olbia, Monte Mazzolu ad Arzachena e Sarra di L’Aglientu a Sant’Antonio di Gallura; pertanto, è accertato il loro uso in questo periodo nel quale il territorio fu popolato in modo ancora più capillare che in passato.
In Gallura, la civiltà nuragica si presenta con le stesse caratteristiche con cui si manifesta nel resto dell’Isola, magari con architetture meno complesse e imponenti della Marmilla, del Logudoro, del Marghine, del Goceano, delle Barbagie o del Sarcidano, forse per la povertà del territorio gallurese, in gran parte poco vocato alle attività agro-pastorali. Si hanno nuraghi a tholos come la Prisgiona ad Arzachena o Tuttusoni ad Aglientu, a corridoio come Lu Brandali a Santa Teresa Gallura o Lu Barriatogghju a Palau, di tipo misto, ovvero strutture in cui si ritrovano entrambe le tipologie, come l’Albucciu ad Arzachena o il Loelle a Buddusò. In Gallura predominano i nuraghi a corridoio, forse anche per la presenza massiccia di imponenti emergenze granitiche che hanno rappresentato sicuramente un condizionamento nella scelta della costruzione da realizzare ma anche parti strutturali pronte da inglobare nella muratura, con un conseguente risparmio di tempo e materiale da costruzione.
La dislocazione in punti dominanti era strettamente connessa alla funzione primaria di difesa delle risorse disponibili, dalle quali dipendeva il sostentamento delle comunità: i campi, nei quali si praticava l’agricoltura e l’allevamento, e il mare, luogo di pesca e di scambi. Esistono anche diversi nuraghi ubicati nelle distese pianeggianti, in particolare nella piana di Olbia; tra tutti ricordo i nuraghi Paulelada e Siana.
Il controllo del mare avveniva sia direttamente, attraverso semplici torri costiere, come quella di Municca a Santa Teresa Gallura, che svolgevano la funzione di punto di avvistamento e di faro del tratto di costa in cui erano ubicate, sia a distanza, con nuraghi ubicati nell’immediato entroterra. Estremamente interessante è il caso del nuraghe Barrabisa in comune di Palau, ubicato su un lieve rialzo collinare a brevissima distanza dal Fiume Liscia, che sembra, in particolare, aver svolto la funzione primaria di avamposto strettamente connesso a una via di penetrazione fluviale.
...domani la 2° parte
Le foto del libro della D.ssa Paola Mancini sono di Egidio Trainito, e raffigurano il complesso di Riu Mulinu a Olbia e la tomba di Giganti di Li Mizzani a Palau.
Tutti i diritti sulle immagini sono riservati e appartengono alla Editrice Taphros. Ogni violazione sarà perseguita.
Questo articolo è tratto dalla relazione dell'autrice al convegno di Barumini del 7 Novembre 2010, nell'ambito della rassegna "Viaggi e Letture".
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