«Pronto? Qui parla l’autore… Lo so, avevo promesso che non mi sarei più ripresentato sul proscenio – non avrei più ostentato la mia persona ma avrei obbedito con ligia sobrietà alle regole del narratore onnisciente, integrando e inventando quando mi fossero mancate le informazioni». Sembra quasi che sia nato un processo di decostruzione dell’autore. È un tentativo di smitizzare, anche ironicamente, lo scrittore rendendolo personaggio sulla scena o è una riproposizione dell’esperimento proustiano?
Sulla “morte dell’autore” si è scritto molto negli anni passati, proprio mentre la figura (anche mediatica) dell’autore diventava sempre più importante. Io ho abusato della mia autobiografia per anni, ora vorrei proprio distanziarmene e ci sto provando, ma non riesco (ancora) ad assumere i panni del narratore onnisciente, ho bisogno di spiegare ai lettori e a me stesso perché so le cose che racconto. È una forma di coinvolgimento ingenuo che però mi serve per entrare in situazione e dare energia alle parole.
Resistere non serve a niente, edito da Rizzoli, come altre sue opere, ruota attorno al tema del desiderio e delle sue derive. In quale modo questo ha inciso sulla costruzione architettonica del romanzo?
Il desiderio infinito è ciò che rende complici Tommaso e il narratore. Per questo alla fine il narratore, pur avendo inteso fino in fondo la debolezza e l’infamia di certe scelte di Tommaso, interviene in suo favore e provoca una specie di stridente happy end. Anche la bulimia è qualcosa che accomuna entrambi, in gradazioni diverse, ma la bulimia non è che espressione del desiderio nella sua forma più infantile: desiderare il cibo significa desiderare qualcosa che non può dirti di no.
Tommaso viene concepito la notte della morte di Pasolini. Identifica in quell’assassinio un momento di non ritorno verso il fiancheggiamento di una barbarie consumistica che trovava in Pasolini appunto uno dei pochi espliciti oppositori?
In parte il simbolo è quello, sì. In parte è l’indicazione opposta, cioè che Tommaso (nome pasoliniano) rappresenta un tipo umano che Pasolini non aveva previsto, di sottoproletario che invece di adeguarsi alla piccola borghesia si impone ad essa e ne arriva a costituire in qualche modo un modello vincente.
La metafora del declino dell’Occidente l’accompagna nelle sue ultime opere. Crede che sia un processo irreversibile?
Di “declino dell’Occidente” si parla da più di cent’anni. Le cose non accadono mai in modo scenografico come la narrativa vorrebbe, probabilmente stiamo sopravvalutando i Paesi che dell’Occidente dovrebbero celebrare i funerali, e nel frattempo anche loro si stanno occidentalizzando mica male. Ma che l’Europa si avvii verso una perdita di centralità, e verso una progressiva irrilevanza, mi pare difficile da negare.
Tommaso di Resistere non serve a niente e Danilo di Autopsia dell’ossessione sono entrambi lacerati da una figura famigliare: nel primo caso il padre, con un sentimento di vergogna, nel secondo la madre, con un desiderio mascherato. È un modello di archeologia famigliare?
Nel mio passato personale, purtroppo, c’è un’infanzia e un’adolescenza in cui spesso ho invidiato i padri e le madri degli altri. Ora non più, ognuno ha i padri e le madri che si merita. In Resistere il rapporto tra Tommaso e il padre è in qualche misura ricalcato sul modello di Edipo (quello di Sofocle, non quello di Freud), mentre il rapporto tra Danilo e la madre in Autopsia è proprio sfacciatamente freudiano.
La scrittura può esorcizzare il dolore della perdita e del mancato possesso, non solo del corpo ma anche degli oggetti, che lo spettacolo del consumo alimenta per autoalimentarsi?
È l’illusione che gli scrittori di solito nutrono, in realtà non si esorcizza un bel niente. La perdita è perdita e basta. L’unico modo per sottrarsi al cattivo infinito del possedere consumistico è una rivoluzione interiore, cioè una conversione.
Come si preparerà per la serata finale del Premio Strega?
Mangiando sano e facendo lunghe passeggiate.
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