Prendiamola con filosofia….o no?

Creato il 04 giugno 2013 da Lamagadioz
4 giugno 2013

All’Italia servirebbero 1,7 milioni di posti di lavoro per superare la crisi. All’Europa 6, al mondo in generale quasi 31 milioni. E allora via con le ricette a base di incentivi, detassazioni, meno austerity, più innovazione. Quanti bei discorsi.

Forse siamo troppi e non c’è lavoro per tutti? Perché questo pare emergere dallo pseudoterroismo mediatico a cui siamo sottoposti quotidianamente. Ci fanno credere che sta per arrivare l’inevitabile, che la crisi non potrà che peggiorare, che fugaci aumenti minimi di Pil saranno dovuti a sacrifici inenarrabili a spese della povera gente…mentre invece gli stipendi dei top manager continuano a salire: negli Stati Uniti un ceo arriva a prendere uno stipendio 508 volte superiore a quello del lavoratore americano medio.

Allora uno legge queste cose, un disoccupato magari da lungo termine…e cosa può pensare?

Che è uno schifo, ovvio. Poi? Come lo riempie il frigo se c’è questo schifo?

Quando sento parlare di reddito di cittadinanza mi viene la pelle d’oca, perché se è vero che uno stipendio minimo va garantito è ancora più vero che un lavoro dignitoso va garantito a tutti. Qualcuno ha scritto Lavoro di cittadinanza, anziché stipendio. Condivido pienamente

Ma se aspettiamo che sia lo Stato a trovarci il lavoro, stiamo freschi, aggiungo io.

Ve lo dico con tutto il cuore. Non aspettatevelo. Quelli che vedo gridare in tv, che fanno appello al governo affinché dia lavoro ai giovani e ai disoccupati forse non si rendono conto che quello che chiedono non può succedere. Lo Stato non ti aiuta, o almeno non ti trova lavoro tipo ufficio di collocamento. Non è uno stato socialista

Lo Stato può regolamentare i contratti, agevolare con le tassazioni e gli incentivi, però poi è il singolo a fare la differenza per se stesso.

O almeno questa è la mia stupida opinione. Ma l’ho vissuta sulla mia pelle e se non fosse stato per me, oggi non lavorerei. Lo Stato non mi ha regalato nulla, anzi mi ha fatto fare la precaria per un bel po’ di anni, grazie al buon anima di Biagi che di sicuro non si aspettava un simile risultato di precarizzazione dalla sua omonima legge. Che poi non è stata colpa sua, ma del sistema che ha abusato di questa norma fino a svilirla completamente.

Ora io non sono un giuslavorista. Sicuramente la legge o le leggi che regolamentano il mercato e soprattutto la contrattualizzazione devono essere riviste. Il lavoro in Italia costa troppo, le tasse sono troppo alte e il precariato segna sovrano.

Ma per me il vero nocciolo della questione è un altro e ricade nel mercato libero. E nella formazione.

Il nostro mercato italiano non parla e non ascolta. E’ un mercato dove la domanda di lavoro viaggia su un binario e l’offerta su un binario parallelo che solo ogni tanto incrocia quello della domanda, ma pochissime volte e per tratti brevi.

La metafora forse non aiuta nella spiegazione del mio strano punto di vista che sicuramente verrà massacrato dalla pletora dei miei assidui lettori

Io sono fermamente convinta che il problema non è la mancanza di lavoro in Italia, il problema è che la domanda e l’offerta non si parlano o parlano lingue diverse.

Il mercato richiede certe professioni più di altre. Non chiede avvocati, architetti o specialisti della comunicazione, ma secondo recenti dati di Unioncamere, sono richieste figure come medici, infermieri, specialisti in It e soprattutto Sap (ragazzi studiate e imparate ad usare Sap che un giorno mi ringrazierete!!) oltre che a figure più artigianali come pavimentatori, meccanici, riparatori e manutentori di automobili, attrezzisti di macchine utensili, sarti e i tagliatori artigianali,  modellisti e  cappellai. Non sto scherzando.

Poi sono richieste figure come ingegneri elettrotecnici, periti meccanici, capi cantiere e addetti alla produzione. Subito dopo ci sono le professioni come addetti paghe e contributi, addetti alla contabilità, responsabili amministrativi, responsabili di tesoreria, addetti alla gestione del credito, Controller. Non mancano le richieste per gli operatori del turismo e ovviamente tutte le figure nel campo della ristorazione, dal cuoco al cameriere, sono sempre richieste.

Allora mi domando, se c’è tutta questa offerta…dov’è la domanda?

E voi mi chiederete :”Ma se non ho la specializzazione richiesta e invece di Sap ho studiato Legge, è colpa mia porca paletta??”

No cari non è colpa vostra. Qui le colpe sono da ricercare a monte e adesso la sparo proprio grossa. Qui è la formazione a fare cilecca. Perché i lavoratori di domani oggi vanno all’università o magari in questo momento sono in quinta superiore e pensano a quale università scegliere, pensano se sia meglio studiare o buttarsi subito nel mercato del lavoro o magari scegliere un corso di specializzazione professionale. Ma qual è in realtà l’offerta didattica? Ci sono scuole per panettieri, muratori o cappellai? Ci sono? Come vengono pubblicizzate? Chi si occupa di formazione si occupa anche di spiegare ai giovani di oggi quali sono le REALI esigenze del mercato del lavoro e li indirizza verso un corso di studi o professionale dal quale possa trarre qualche vantaggio?

Perché se i giovani continuano a iscriversi a Filosofia, Lettere, Scienze della Comunicazione o, come ho fatto io (stupendo corso di laurea ma poco utile ai fini professionali) Scienze Internazionali e Diplomatiche…come possono sperare di trovare lavoro appena laureati?

Questi come ho detto sono corsi di laurea fantastici con materie molto interessanti ma a parere mio andrebbero integrati in corsi di laurea più professionalizzanti, al termine dei quali uno ha un mestiere in mano o quasi.

In Italia ultimamente molti giovani si stanno dando all’agricoltura. Uno dice hai studiato una vita e poi fai il contadino? Si, e mi piace pure. Nel 2012 l’agricoltura in Italia è stato l’unico settore che non ha visto diminuire la presenza percentuale di giovani imprenditori under 30.

Ma guarda un po’.

E non è che si sono aperti tutti il beddenbrekfast a cinque stelle con i cavalli stile barbie e i maiali profumati. Molti hanno imprese piccoline, magari individuali. Ma sono contenti. Non è un ripiego, loro sono proprio soddisfatti di fare questo lavoro pure se non c’azzecca una cippa con quello che hanno studiato. Questo articolo è dell’anno scorso ma mi pare attuale http://www.ilcambiamento.it/culture_cambiamento/diventare_agricoltori_giovani_coldiretti.html

In poche parole, fanno un lavoro richiesto, fanno un lavoro che ha mercato, come si dice nel gergo commerciale. E sono contenti: aver studiato la vita di Socrate non li aiuterà nel vigneto ma li renderà di certo persone con teste brillanti. Socrate aiuta sempre per carità, ma non  dà da mangiare purtroppo….

Immagino che questo quadro non sia facile da digerire e ve lo dice una che aveva come sogno quello di fare la giornalista ed è finita ad occuparsi di marketing perché come giornalista faceva la fame.

Mi sono reinventata, sono andata in Australia, ho studiato marketing internazionale e mi sono proposta in quel di Milano dove a quanto pare questa figura è abbastanza ricercata mentre nel resto d’Italia pare essere sconosciuta

E la mia laurea in Scienze Internazionali non c’entra nulla con il marketing. Con la mia laurea io potevo fare giusto l’ambasciatore. Ma vi pare normale che ci siano corsi di laurea per diventare ambasciatori? E’ una professione che si tramanda da padre a a figlio o comunque per via parentale o amicale amicale…eppure esiste. Va bene avere il corso di laurea, ma magari specificate che gli sbocchi non sono alla portata di tutti, almeno siate onesti!

Non voglio mettermi ad analizzare le facoltà italiane, ma se lo facessi secondo voi quante risulterebbero davvero utili per le esigenze del mercato del lavoro di oggi?

Ma se non lo spiegano le università ai ragazzi, chi glielo spiega? Se le università li illudono con gloriose carriere da ambasciatore o sbocchi nel campo giuridico come avvocato di grido in un paese dove tra un po’ gli avvocati superano i residenti…che speranza abbiamo che i giovani italiani possano davvero trovare lavoro?

Un capitolo a parte meritano i disoccupati non più giovani, a cui spetta l’onere di sapersi adattare e reinventarsi. Ma di questo ve ne parlo in un altro post.


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