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Lo shopping dei marchi del lusso da parte dei grossi gruppi stranieri, che trasforma l'Italia nella Cina del lusso ma che rende all'Italia molto poco in termini economici.
Ma soprattutto, il lungo reportage dal Bangladesh di Liza Boschin e della producer Marzano: qui, nell'aprile scorso, è crollato il Rana Plaza un palazzo di otto piani, dove avevano sede diverse aziende tessili.
Qui, sotto le macerie, sono morte 1129 morti e 2500 feriti.
Il palazzo era instabile, le crepe al terzo e settimo piano erano state notate da tutti nei giorni precedenti al crollo.
Ma, mentre gli impiegati hanno potuto rifiutarsi di entrare dentro il palazzo, le lavoratrici sono state minacciate dalle guardie.
La produzione non si poteva fermare: qui le aziende lavorano h24, ma in Europa non si può dire. Qui lavorano anche bambini e bambine, nonostante i divieti. Ma sono assunti per pietà dai padroni di queste imprese: perché così i fanciulli possono portare i soldi a casa per aiutare le povere famiglie.
Vogliono così bene ai ragazzini che, per loro sicurezza si intende, tutte le porte sono chiuse e le finestre sbarrate.
Così sono morti centinaia di ragazzi al rogo della Tazrime, sempre a Dacca la capitale.
Così sono morte le migliaia di donne al Rana Plaza sotto le cui macerie ancora giacciono duecento cadaveri non ancora recuperati.
E' un 11 settembre, che però non indigna la nostra candida coscienza di occidentali.
Qui al Rana Plaza venivano prodotti i capi dei grandi marchi occidentali ad un prezzo estremamente conveniente: così conveniente (si parla di 3 dollari a maglietta) da far passare in secondo piano qualsiasi remora di coscienza per le condizioni di lavoro.
Qui producevano anche le magliette per Benetton (che noi ovviamente paghiamo ben più di 3 euro, per il grand): all'inizio l'azienda ha cercato di miminizzare: erano solo rapporti occasionali.
Ma di fronte alle telecamere nascoste delle due giornaliste di Presa diretta, due manager di Olimpias hanno ammesso che Benetton sapeva: sapeva delle condizioni di lavoro, che al Rana Plaza venivano prodotti loro capi.
Che l'accordo in Svizzera per la sicurezza dei marchi europei è stato firmato solo per placare l'opinione pubblica.
Ma che nella realtà non è possibile controllare tutta la catena di fornitori e subfornitori.
Quelli che lavorano nei sottoscala e che non rispettano gli accordi per la sicurezza.
Perché se anche loro fanno audit per la "safety del workers" (sentite come suona bene in inglese?) mica possono costringere le aziende fornitrici a mettere le scale anti-incendio.
Presa diretta è entrata, sempre di nascosto, dentro due aziende dove si producono capi per l'occidente a 2,5 dollari "tutto compreso".
Qui i sindacalisti non sono ben visti, come anche tanti imprenditori e politici italiani.
Basta con le rivendicazioni, basta con la burocrazia che per legge impone vincoli alla produzione.
Perché questi signori si sentono pure dei benefattori, che dovrebbero essere anche ringraziati.
E se i lavoratori protestano, c'è sempre pronta la polizia e le guardie pagate che disperdono con la forza gli scioperanti.
Quelli che chiedono un salario minimo dignitoso, che ora è pari a 28 euro.
I sindacalisti che difendono veramente i lavoratori in questo paese rischiano grosso: qualcuno è finito in carcere, altri sono semplicemente spariti.
Perché la produzione non può essere fermata.
Il cimitero delle imprese tessili.
Rovescio della medaglia, è il cimitero che i grandi marchi hanno lasciato qui, nel tessile: -23% di occupazione, 85000 posti di lavoro persi.
In dieci anni, buona parte dei laboratori che lavoravano per Benetton (e altri) sono chiusi.
E non tutti gli impiegati sono riusciti a rientrare nel mondo del lavoro.
Il made in Italy è oggi fatto all'estero in paesi con gravi deficit sulla sicurezza nel lavoro.
Rimane il lusso.
Perché siamo benefattori, noi italiani: andiamo all'estero a portare la produzione per rendere felici i lavoratori del Bangladesh, e vendiamo ai francesi i marchi del lusso, per renderli ancora più ricchi.
E noi, più poveri.
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