“Le streghe sono tornate”.
Salem, Massachusetts, luogo di roghi e credenze, nonché città natale del regista Rob Zombie. La cittadina della contea di Essex fa da sfondo alla quinta fatica registica del rocker. Heidy (Sheri Moon Zombie) dj di una piccola radio locale, entra casualmente in possesso di un vinile, la cui copertina recita come titolo: “I signori”.
Inizia così il viaggio “acido” di colei che già nel cognome, Hawthorne, possiede la predestinazione all’oblio. Il passato ritorna ad incombere sui discendenti di coloro che trecento anni prima hanno condannato le meretrici di Satana alle fiamme purificatrici.
Menzione d’onore alle tre sorelle. Vecchie, ma mai così attuali glorie del cinema di Serie B. Dee Wallace, Patricia Quinn e Judy Geeson capitanate da Meg Foster (Margaret Morgan) che accompagnano come madri putative la protagonista in questo lungo viaggio.
Citare Caroll non é per nulla eccessivo o sacrilego. Il viaggio con i tre “bianchi conigli” sporchi è dunque pronto a partire. Zombie gioca con i generi, mettendo in scena un classico film anni ’70.
I rimandi a pellicole come Rosemary’s Baby di Polansky, Satan’s Cheerleaders, e il corridoio dell’Overlook Hotel di kubrickiana memoria, fanno da scenario ad un’opera personalissima, che tutto cambia, ma nulla distrugge.
Le similitudini con le opere di Kubrick non si riconoscono soltanto in pellicole come quelle di Shining o Arancia Meccanica, quanto più nelle cadenze musicali dell’ultima opera del maestro americano: “Eyes wide shut”. Il “doppio sogno” di Schnitzler é infatti, alla base del dualismo visionario che intreccia America e diavoli, caproni e croci al neon. Il duplice sogno diventa quindi un trip allucinato ed allucinogeno attraverso una Sheri Moon Zombie sempre più fragile.
Bellissime le musiche, e i rimandi al cinema di genere, con quei piccoli simbolismi che si suddividono fra: lune di Méliès, preti blasfemi, figure messianiche ed immagini sacre, che ci accompagnano verso un finale non dissimile da quello della sua opera migliore: ”I reietti del diavolo”.
Il film é dunque una sorta di Giano bifronte, ed i personaggi che lo popolano altro non sono che gli assassini seriali, figli di un’ America sempre più madre matrigna, che ama ed allo stesso tempo allontana.
Di queste piccole molliche di pane, sparse come mine antiuomo, tra un saluto arabo ed una bottiglia di vino é costellato il film, che trova la sua collocazione tra i capolavori del cinema di genere.
articolo a cura di Christian Humouda