Giovedì 27 marzo, alle ore 18
alla Casa del Manzoni, via Morone 1 Milano
presentazione della nuova raccolta poetica di Filippo Ravizza
Nel secolo fragile, LVF, 2014
Partecipano Gianmarco Gaspari e Mauro Germani.
In occasione della presentazione dell’ultimo libro di Filippo Ravizza, riproponiamo questa nota di lettura di Corrado Bagnoli, apparsa per le edizioni I FIORI DI TORCHIO
Filippo Ravizza
Nel secolo fragile
La Vita Felice edizioni
di Corrado Bagnoli
L’ultimo recentissimo libro di Filippo Ravizza, Nel secolo fragile, si apre con i testi che erano stati raccolti nella plaquette La quiete del mistero, pubblicata qualche anno fa nella collana di libri d’artista Fiori di torchio a cura del circolo culturale Seregn de la memoria e per la quale scrissi una piccola prefazione che ripropongo qui quasi integralmente, perché la nuova raccolta – di quella piccola silloge – mantiene e sviluppa le tematiche principali, così che anche per questa nuova prova si può dire che si conferma la misura struggentemente metafisica della poesia di Filippo Ravizza: un corpo a corpo con l’istante che è la dimensione dell’uomo e che, come ogni cosa che è segno, spinge però l’uomo a un desiderio di permanenza, di durata. La parola del poeta è la domanda di un’eternità impossibile, è il desiderio sconfitto, sembra, di un divenire salvato nel suo scorrere, nel suo fluire. Non a caso troviamo immagini di fiumi larghi, di una vita che fluisce via e che si cerca di fermare in un’immagine, dentro una parola. E’ lì, nella parola, che Ravizza rinviene come una tregua, l’unica tregua concessa a un’esistenza apparentemente votata alla sconfitta, a un non sapere o, peggio, al sapere che nulla potrà mai essere compreso, cioè abbracciato insieme, ritrovato nel suo disegno unitario, nel suo significato. Insieme a questa certezza, più volte ribadita e di cui il tempo, il suo non essere bastevole, è ritenuto responsabile, la parola diventa l’unica risorsa a cui attingere, la forza antica nella quale l’essere si acquieta: sopra l’acqua del fiume, dentro il vorticoso andare del tempo e delle cose, l’unico ponte che ci è dato di gettare verso una riva – che pure razionalmente sembra essere negata – è quello della parola, della poesia. Alla poesia è affidato l’istante e il suo illusorio permanere: carezze, case, giardini, automobili sono nominati dentro un tempo che sembra ingozzarsi, mangiandosi tutto quello che trova. Anche nel suo evolversi formale, la poesia di Ravizza, piena di enjambement, di spostamenti, di frasi che scivolano una dentro l’altra, sembra riprodurre il rumore stesso di quel destino del divenire che è protagonista di questi versi. E in questo suo srotolarsi, in questo suo muoversi a ondate, quasi come l’acqua del fiume, o come quella del mare oceano in cui finiscono tutti i luccichii della vita, sembra essergli compagna la schiera intera dei poeti, quasi a indicare una dimensione epica, una dimensione comune di questo domandare, di questo volere ciò che appare impossibile, diventando, questa lingua, questa domanda, una parola universalmente riconosciuta e condivisa. Poesia metafisica, dicevamo, cioè l’unica poesia davvero possibile, che si interroga anche sul suo destino, oltre che sul senso, sul destino di uomini e cose. E che interrogandosi, nella certezza estrema e virile dello scacco finale, è attraversata da un brivido, da una misericordia improvvisa e imprevedibile, da una grazia intuibile attraverso la quale, addirittura al di là delle intenzioni del poeta – che relega questa grazia nella circoscritta dimora della parola – si aprirà forse una luce diversa, si costruiranno nuovi alti ponti. E’ il tono della preghiera, di un’invocazione perentoria quello con cui questi versi si chiudono; una preghiera rivolta alla parola, alla poesia: essa, prima del vuoto, della sparizione definitiva, diventa memoria, segno che incide. Ma la parola stessa è una pagina di quel tempo che tutto si porta via come un fiume e forse, allora, il suo destino è proprio questo: stare lì, dire, nella mancanza, il desiderio, la necessità di un luogo vivo in cui tutto venga riaffermato, salvato, custodito; un luogo di cui la parola è solo segno e nostalgia.***
Porto, Lisbona
Ecco qui ecco ritorna allora
il pomeriggio della musica
lontana quando arrivai ai bordi
e avevo il grande largo fiume
e quei locali quei depositi
lontani… paglia negli occhi
al bianco slittare e improvviso
il guardare verso l’alto… lì
anche lì ho visto – ricordi? – ho
sentito… era come uno scendere
un chiudersi su noi…
chiudere il tempo crescere
nostra figlia lì in un punto
srotolarsi come gomitolo
proseguire la corsa…
Ponte 25 de Abril ponte
nel rumore nella rinnovata
verità di treni e automobili
sopra le vostre teste sopra
le carezze: credimi credimi
non capiremo mai perché ci
siamo stati non sapremo
ci mancherà il tempo
ci mancherà il coraggio
saremo come sono stati altri…
altri prima di noi… non troveremo
più tempo sarà troppo breve
poco tempo troppo poco
il tempo dato.
***
Gli orizzonti rimasti
Come si stendono si svelano
le cose sulla carta nelle luci
delle tue fotografie come tornano
leggere sulle direttrici della mente.
Ora rimani aperto fulmine antico
rimani smarrito fiore dolcezza
scaglia figura del nostro piccolo passare.
Perché qui? Sorridiamo davanti a noi
con occhi che non vacillano che vanno
verso il vento vanno attoniti e alti
verso un solo nulla che tutto ama
e contiene gli orizzonti rimasti, rimasti
lì, rimasti come i nostri corpi,
fermi per sempre nella immagine
riflessa, smossa aria,
unica illusione della mente.
***
La quiete del mistero
Mi leggono alberi mi portano alle case
ai vicini giardini dell’inizio primi
passi e anni e grida oltre gli angoli
primi slanci plananti nelle volute degli
incontri di questo ventunesimo secolo…
viaggio dentro al tempo che ci è dato
che chiamano vita senza saperla guardare
slittante via da noi che neppure sappiamo
capire se esiste o non esiste scommessa
di cui non si conosce posta fiore dell’esserci…
diranno altri poi di noi… anche loro ci sono
stati anche loro hanno scritto poesie o eretto
alti ponti su quei grandi fiumi che portano
nel mare oceano tutto il luccichio
e la quiete del mistero.