La risposta la troviamo nell’interconnessione tra i fondamentali economici e il rischio di break-up; dove per quest’ultimo intendiamo il rischio di rottura del sistema Euro, in cui un paese membro prima o poi abbandoni, più o meno coattivamente, l’unione monetaria.
Durante i primi dieci anni dell’euro la stabilità della moneta unica non è mai stata messa in discussione, l’adesione all’euro è stata semplicemente considerata come un processo irreversibile e permanente, mentre i palesi difetti della governance europea non erano ancora emersi in tutto il loro splendore…
La crisi greca ha rappresentato un sonoro campanello d’allarme che ha portato ad un brusco repricing del rischio di credito che ha investito rapidamente tutti quei paesi con maggiori squilibri macroeconomici e fiscali.
L’attenzione del mercato si è spostata rapidamente sul tema della sostenibilità delle finanze pubbliche. Le scosse successive causate dalla crisi irlandese e portoghese hanno cementato l’aspettativa che senza disciplina fiscale e una forte dose di convergenza economica, la zona euro sarebbe divenuta insostenibile mantenendo l’attuale architettura istituzionale.
Con un approccio graduale, il rafforzamento dei poteri di vigilanza e controllo (Fiscal Compact), la nascita di un meccanismo di salvaguardia dei paesi dell’Eurozona (ESM) con il possibile convolgimento della BCE attraverso l’OMT e l’ampliamento delle sue competenze in materia di sorveglianza bancaria, rappresentano oggi uno spartiacque con la fase pre crisi.
Recenti studi riguardanti modelli econometrici, provano a stimare il livello dello spread nei mesi a venire. Assumendo che non vi siano ulteriori scosse provenienti dall’ambito politico, che il programma di riforme non contraddica le indicazioni della Commissione e che prosegua il graduale miglioramento congiunturale, lo spread nei confronti dei titoli governativi tedeschi non potrà che ridursi, anche se il livello attuale incorpora alcune promesse come fossero già mantenute…il che è tutto da verificare.