Lo sciopero della fame è partito su iniziativa di una cinquantina di appartenenti al Fronte popolare per la liberazione della Palestina. La forma di protesta estrema punta a ottenere un miglioramento nel trattamento di quelli che da parte palestinese vengono definiti “prigioneri politici”, da parte israeliana “detenuti di sicurezza”.
Chiedono di poter veder i propri familiari, diritto negato ad esempio ai prigioneri provenienti da Gaza; di vedere il proprio avvocato, di avere accesso a percorsi educativi e di formazione univesitaria; di poter consultare giornali e di guardare i canali satellitari arabi. Di non subire trattamenti lesivi della dignità personale, come l’essere trasportati nella sala delle visite con manette alle caviglie e ai polsi. Protestano per avere assistenza medica e vestiti puliti. Puntano alla fine delle incursioni, delle perquisizioni in carcere, e di tutte le forme di punizioni collettive.
Tra le principali motivazioni della mobilitazione c’è anche la battaglia contro il regime di isolamento duroadottato nei confronti di molti militanti, tra i quali proprio il leader del Fronte, Akhmed Sa’adat. Come segnalato dall’agenzia NNTN, la mobilitazione cominciata il 27 è partita seguendo l’esempio di Jamal Abdel Salam Abu Hejah, esponente di Hamas, tenuto in regime di isolamento dal 2002, quando venne arrestato con l’accusa di aver guidato un’operazione militare per difendere il campo profughi di Jenin. Nell’operazione incriminata ci furono sette vittime israeliane.
Nelle carceri israeliane sono rinchiusi circa 6.000 prigionieri palestinesi. Sul numero di coloro che avrebbero aderito allo sciopero naturalemente le fonti sono discordanti. Sivan Weizman, portavoce dell’amministrazione penitenziaria israeliana, secondo quanto riportato da Al Jazeera, ha parlato di altri 234 detenuti che avrebbero cominciato lo sciopero domenica scorsa. Il ministro palestinese per gli affari penitenziari, Issa Qaraqe, aveva invece già da subito fatto il numero di 500 scioperanti. Ad essi vanno aggiunti un’altra sessantina di attivisti che stanno digiunando in segno di solidarità, in Cisgiordania, a Gaza e in Israele.
Tra di loro anche Silvia Todeschini, dell’International Solidarity Monvement, organizzazione della quale faceva parte anche Vittorio Arrigoni. Insieme ad altri attivisti dell’ISM dal 7 ottobre è accampata in una tenda allestita dinanzi la sede della Croce Rossa a Gaza. Dal suo blog denuncia che i prigioneri palestinesi subirebbero torture e sarebbero rinchiusi anche dei minorenni.
Il governo d’Israele sembra tutt’altro che aperto a trattare. La tendenza espressa dal primo ministro Benjamin Netanyahu, nello scorso giugno è quella di un ulteriore inasprimento delle condizioni dei prigionieri palestinesi per fare pressione su Hamas affinché rilasci il militaere israeliano Gilad Shalit, rapito orami nel lontano 2006. Per il rilascio di Shalit, Hamas aveva richiesto la liberazione di un migliaio di detenuti palestinesi ed Israele si era inizialmente mostrato disponibile allo scambio
Anche Twitter si sta mobilitando: domani chi vorrà testimoniare la propria vicinanza, e riportare all’attenzione di media e opinione pubblica le motivazioni della protesta, potrà rilanciare il messaggio: On 12.10.11, I will be on hunger strike in support of Palestinian prisoners’ hunger strike since September, 27th. L’hashtag di riferimento è #HS4Palestine