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Sorvolando sulla sua primissima apparizione (Menace, un racconto breve firmato da Stan Lee e Bill Everett che risale 1953), il morto vivente targato Marvel face la sua comparsa ufficiale nella splendida Tales of the Zombie, serie stampata tra il 1973 e il 1975, scritta inizialmente da Roy Thomas e Steve Gerber e disegnata da illustratori del calibro di John Buscema e Pablo Marcos.
Garth era in queste pagine il primo presidente nonché fondatore della Garwood Industries, una fabbrica di caffè di New Orleans. Ha una bellissima figlia a carico, Donna, che un giorno protegge dalle avances del laido giardiniere Gyps. Licenziato in tronco (dopo una bella ripassata a fior di sganassoni) dal suo principale, l'uomo per vendetta rapisce e poi toglie la vita a Simon quindi costringe Layla, una sacerdotessa vudù - che lavorava come segretaria di Garth e di questi era innamorata - a riportare in vita il suo boss sotto forma di walking dead affinché diventi il proprio schiavo.
Dalle coordinate narrative della vicenda risulta quindi palese quanto il revenant della Marvel si muovesse ancora all'interno di una cornice etno-magica assai agli antipodi rispetto all'iconografia attuale, tutta virus chimico incontrollato e spirito survival. Basti pensare al ruolo focale nello svolgimento degli eventi ricoperto dal talismano del dio serpente Damballah: un monile forgiato in duplice copia di cui una viene posta al collo della vittima, l'altra invece in possesso di chi la terrà alla propria mercé (è una dinamica, a dirla tutta, molto à la The Mummy, piccolo culto Hammer con Christopher Lee). Gyps però è un inetto e perde l'amuleto nel giro di poco tempo lasciando che il morto - illuminato da una istintuale scintilla di memoria - si vendichi uccidendolo per poi mettersi a deambulare per il paese senza meta.
Il prosieguo della saga vede lo zombie sfrisare più volte il destino della figlia, vanamente alle sue costole, e incontrare numerosi personaggi dalle esistenze grame quando non tragiche. L'amuleto passerà di mano in mano mentre il muto cammino di Simon finisce in più occasioni per cozzare con le mire di un malvagio gangster il quale si serve delle pratiche vudù per i propri scopi criminali. Alla fine, Layla darà la sua vita affinché Simon possa resuscitare per un giorno, risolvere tutti i conti lasciati in sospeso, riconciliarsi con la figlia e l'ex moglie Miranda (ma anche chiudere la partita con il suo avversario criminale, che adesso vede come un riflesso distorto della sua vita precedente) e poter quindi morire definitivamente in pace.
In un twist conclusivo ad alto gradiente emozionale, scritto da un ancora poco noto Chris Claremont, ogni trama della tela è perfettamente rifilata e la tessitura finale premia il lettore senza riserve. Simon si erge a metafora di un uomo “morto” sin da prima che il suo giardiniere lo accoppasse, e le traversie vissute dal suo alter ego disossato finiranno per redimere il dispotico e glaciale businessman ch'era stato in vita.
Anche stilisticamente questo fumetto va segnalato per un approccio particolarissimo che ne determina il fascino senza tempo: lo srotolarsi degli eventi viene scandito infatti da alcune didascalie in terza persona (davvero inusuali per un fumetto di quell'epoca), e il narratore, con un originale espediente letterario, si rivolge direttamente al protagonista chiamandolo per nome per incitarlo, rimproverarlo o esortarlo ad agire. La somma di questi elementi contribuisce a regalare ad un cadavere semovente una speciale, struggente personalità poetica, pur senza lesinare, quando la tensione della storia lo richiede, in crudeltà splatter. Resta su tutte l'indimenticabile sequenza in cui lo zombie si trascina fino alla sua fabbrica con piglio deciso, scala un cancello elettrificato e va a sedersi sulla poltrona imbottita del suo vecchio ufficio: circondato dal lusso, ma irrimediabilmente solo, da trapassato così come da vivo. Tales of the Zombie è una piccola perla figlia di anni in cui l'horror stava mutando forma, un fumetto recuperato solo in parte, qualche anno fa, dalla collana da edicola Dark Side della Gazzetta dello Sport.
Poi qualcuno nel 2006/7, siccome i morti viventi si portano di nuovo parecchio, ha pensato bene di ammodernare questo minuto gioiellino per realizzarne due graphic novel dal pretestuoso taglio innovativo: il risultato è una miniserie in due tronconi, The Zombie: Simon Garth (firmate da Mike Raicht e disegnate con tratto gotico e macfarlaniano da Kyle Hotz ed Eric Powell) che non sembra aggiungere nulla all'originale e anzi, sfrutta malissimo il potenziale amalgamandolo alla ormai consueta deriva apocalittica della genesi dei mangiavivi, nel bel mezzo dei quali troviamo questo morto vivente particolarmente empatico che sembra possedere un'anima e che, per l'appunto, conserva solo il nome del suo progenitore disegnato ma ha ben poco a che vedere con il personaggio. Godibile come ennesima variatio della Z-Nation, ma niente de chè.
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