Prima di leggere (e incontrare) Raffaella Clementi, quello che sapevo sulla procreazione medicalmente assistita (detta PMA) era ben poco; solo informazioni sommarie, spesso legate alle polemiche sulla legge 40, che “regola” (e limita) il ricorrere alla pratica di fecondazione medica.
Non conoscevo l’iter, pratico e psicologico, che una coppia affronta quando decide che, non potendo concepire in maniera “naturale” (io direi meglio “senza un piccolo grande aiuto”, perché alla fine anche un concepimento “assistito” è naturale) decide di ricorrere a tecniche di procreazione assistita, alla cicogna tecnologica come la chiama con ironia e leggerezza Raffaella.
Ho conosciuto Raffaella tramite un’amica blogger (questo è il suo blog, date un’occhiata, oltre a post che è un piacere leggere, Francesca ci propone foto strepitose e tenerissime) che mi ha parlato di lei, del suo libro e del suo blog, questo.
L’ho invitata in Art Studio Café in occasione di un ciclo di incontri per le mamme (Mamme in Art) che facciamo il martedì mattina in collaborazione con la psicologa (e dolcissima mamma) Marta Falaguasta: le mamme si incontrano fra loro, fanno colazione, si scambiano esperienze e hanno a disposizione esperti, scrittori, giornalisti, biologi, pediatri che di volta in volta si avvicendano al nostro tavolo, pronti a rispondere alle domande.
Con Raffaella è stato amore a prima vista. Lei è una persona dolcissima, disponibile, solare e sorridente. E soprattutto generosa. Ha raccontato, in forma ridotta, dandosi in pasto alle mamme curiose di conoscerla e di sentire dalla sua voce il racconto della sua esperienza, il suo cammino alla ricerca di Daniele, il suo bimbo nato grazie alla PMA.
Di solito si ha sempre qualche remora, soprattutto per noi che siamo mamme, di fronte a un’esperienza di ricerca – a volte vana, o lunga e travagliata – di un bambino che tarda ad arrivare. Si glissa sempre sull’argomento, si cerca di minimizzare per non cadere in facili imbarazzi, non si sa cosa dire e cosa tacere.
Raffaella con questo suo libro (il cui titolo non è solo una parafrasi del libro di Oriana Fallaci, ma ha un senso diametralmente opposto) apre il suo cuore e racconta a tutti il suo percorso arduo verso il concepimento.
Il libro nasce come un diario scritto per Daniele, per raccontargli quanto sia stato desiderato, fortemente voluto da mamma e papà, cercato e “sofferto”. E per fargli capire che un figlio nato da fecondazione assistita non è “meno figlio” degli altri.
In questo libro troviamo informazioni pratiche su come funziona l’iter della PMA, e le emozioni, i sentimenti che ti squassano, nel bene e nel male, in tutto il percorso: dai primi tentativi, alle analisi, ai processi a cui si viene sottoposti (utilissimo strumento per chi voglia affrontare questo cammino) e sentiamo tutta la difficoltà, la tenerezza, la delusione, il dolore e la felicità di una donna – ancora prima che mamma – che condivide con il suo uomo (partecipe e presente quanto lei) un percorso importantissimo.
Lettera a un bambino che è nato non è un libro solo per le donne, per le mamme o per chi sta cercando un bambino. È un libro per tutti, per capire come funzionano certe cose nel nostro Paese o quanto sia importante che due persone, insieme, affrontino l’arrivo di un figlio, che giunga a loro con o senza “aiuto”.
E poi, quanto è bella l’espressione cercare un bambino, che Raffaella sottolinea spesso fra le pagine. Concetto che vale per tutti, rende bene l’idea che il tuo bambino è lì da qualche parte e aspetta solo che tu lo trovi. E non importa se poi arriva sotto un cavolo, in una provetta, a bordo di un aereo che viene da un paese lontano o fra le calde lenzuola di casa.