Arriva in Arabia Saudita la prima pubblicità contro la violenza femminile. Presentata poco tempo fa, la campagna mostra un primo piano del volto di una donna islamica coperto da un burqa nero, e con un’evidente tumefazione all’occhio sinistro. Al fondo, solo una scritta, più che eloquente: “Alcune cose non possono essere coperte. Combattere ogni forma di violenza contro le donne”.
La pubblicità, senz’altro shock per il mondo islamico data l’assenza, fino ad ora, di campagne per la sensibilizzazione per la condizione femminile, è stata diffusa dalla King Khalid Foundation, che oltre allo strumento mediatico si è proposta per aiutare finanziariamente e proteggere legalmente le violenze (soprattutto le violenze domestiche) verso le donne ma anche verso i bambini. Ed è stato proprio durante la presentazione che le autorità hanno ammesso che i casi di violenza sono più pressanti di ciò che viene dichiarato, che sono stati fino ad adesso sottovalutati e che è il momento, ora, di incoraggiare le donne alla denuncia sociale e legale, di sentirsi un minimo protette.
Non bisogna dimenticare che l’Arabia Saudita si piazza al 131° posto su 134 nella classifica sulla condizione femminile, e ciò dovrebbe fare riflettere. Spesso il mondo occidentale si focalizza sul chador e sul burqa, che invece non sempre, ma spesso sono scelti delle donne (“Sarebbe come per voi smettere di indossare le scarpe”) e si lasciano da parte diritti negati estremamente più importanti: le donne non possono guidare, e possono salire su mezzi come bici e moto solo se accompagnate da un uomo, non possono partecipare alle Olimpiadi anche se si qualificano e, come sostiene la stessa principessa saudita Basma Bint Saud – che vive a Londra e da anni lotta contro i fondamentalismi del suo stesso Paese-, vengono discriminate dalla stessa polizia religiosa.
Sembra un passo piccolo, per noi che alle pubblicità contro la violenza siamo ormai quasi immuni: se pensiamo però a tutti i casi mondiali per cui una donna muore a causa del proprio compagno, forse c’è molto ancora da fare. E questa è una dimostrazione di apertura importante.
Articolo di Miriam Barone.
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