Circa due anni or sono recensii Delivering The Black, il precedente album dei Primal Fear, e magari ricorderete, o forse no, che paragonai il gruppo di Ralf Scheepers e Matt Sinner alla Volkswagen per robustezza ed affidabilità. Sono proprio quelle due qualità ad aver fatto la fortuna del marchio tedesco e il discorso può essere valido anche per i nostri metallari crucchi, onesti lavoratori non particolarmente fantasiosi in fase compositiva ma affidabili e costanti sulla lunga distanza, senza vistosi cali prestazionali.
Nel frattempo sono passati due anni e la Volkswagen in questi ultimi tempi ha visto appannarsi un po’ la propria immagine per la nota vicenda delle emissioni taroccate; nello stesso periodo i Primal Fear si sono chiusi in studio e ne sono usciti con questo Rulebreaker, puntuali, appunto, come qualsiasi crucco che si rispetti. E com’è venuto fuori l’album? Bè, diciamo che il parallelismo con la nota casa automobilistica può essere tranquillamente portato avanti, ovvero sì, è un disco gradevole e tutto ma non raggiunge il livello del predecessore. Pure i Primal Fear in quest’inizio di 2016 sono un po’ appannati, proprio come la Volkswagen, e proprio come la Volkswagen, che in ogni caso fa automobili mediamente di buona affidabilità pure se assai meno ecocompatibili di come te le spacciano, i Primal Fear si riconfermano affidabili anche se meno divertenti rispetto a due anni fa.
In teoria basterebbe quest’ultimo periodo per tutta la recensione, perché gli album dei Primal Fear sono occhio e croce strutturalmente tutti uguali da quasi vent’anni, quello che cambia è giusto il livello qualitativo che comunque, pur con alti e bassi, rimane sempre mediamente buono. Rulebreaker è la fotocopia del precedente lavoro, solo un po’ sbiadita (era finito il toner), perché c’è tutto quanto c’era in Delivering The Black, però meno speciale. L’esempio più banale che mi viene in mente è la lunga We Walk Without Fear, che seppur gradevole non ce la fa proprio a non farmi rimpiangere One Night In December. Eh no. Poi per carità, il cd si fa ascoltare e prende bene, soprattutto i primi pezzi fino a quello che dà il titolo all’album, Rulebreaker appunto, ma poi per buona parte del resto si perde un po’. La prestazione di Ralf Scheepers è, manco a dirlo, superlativa come sempre, e se anche i dischi meno riusciti dei Primal Fear sono comunque buoni il merito è per larghissima parte proprio il suo. Per dire la ballata dell’album (The Sky Is Burning) dal punto di vista compositivo non è proprio nulla di che, anzi è scontata e strasentita a dir poco, ma grazie all’interpretazione del nostro da un potenziale disastro ne è venuto fuori un pezzo bello assai che potrebbe benissimo essere usato per la pubblicità di qualsiasi cosa, dai voli della Lufthansa alle vacanze in Baviera a quella di qualche bordello dalle parti di Berlino.
D’altra parte il concetto lo chiarì Adrian Smith in un’intervista del, credo, 1982, nella quale, parlando di Bruce Dickinson, disse una roba tipo che è fantastico avere a disposizione un cantante che, mentre sei lì a provare qualche riff per il disco nuovo, ti ci improvvisa una linea vocale sopra e come apre bocca all’improvviso diventa tutto bellissimo e fantastico e ti senti ispirato e tutto va bene (e chissà se il giovane Adrian dell’epoca avrebbe mai immaginato di trovarsi qualche decade dopo, bolso e bandanato, a doversi procacciare gli ultimi anni di contributi da versare per l’agognata e sicuramente dorata pensione disimparando a suonare la chitarra appresso ad una vecchia scimma albina ipercinetica e salterina che Steve Harris si ostina a voler tenere lì a fare non si sa bene cosa). Ed è, ovviamente, verissimo. Diciamo che Matt Sinner ha trovato il classico Mastro Lindo dalle uova d’oro (…) in un cantante che è contento di fare la stessa musica da vent’anni, non ha particolari velleità da rockstar alla cazzo di cane come qualche collega e oltretutto ha una voce incredibile, che pare tagliata apposta per fare contenti i fan del genere.
Vabbè, vi allego il video di Angels Of Mercy, la prima traccia del disco, che è quanto di più tamarro mi sia capitato di vedere ultimamente. Tra l’altro da questo disco i Primal Fear hanno un chitarrista in più, che sarebbe il tizio con la cresta gialla, il quale peraltro già è entrato e uscito dal gruppo un due/tre volte. Chissà pure lui a cosa potrà mai servire, boh. Anzi, visto quant’è tamarro probabilmente serve proprio ad alzarne il livello, che quando la qualità un po’ cala si sa che è meglio buttarla in caciara. Comunque non salta tutto il tempo tentando di suonare la chitarra come fosse una fisarmonica tipo la scimmia di cui sopra, il che basta e avanza a rendermelo quasi simpatico. Quasi. (Cesare Carrozzi)