Batterà i pugni sul tavolo?
Il lutto elaborato in casa Bersani questa settimana è dovuto alla sconfitta di Stefano Boeri, candidato ufficiale della segreteria piddina, contro il vendoliano Giuliano Pisapia nelle primarie di coalizione per scegliere l'avversario della Moratti alle prossime elezioni comunali a Milano.Con questo preludio si alza a sorpresa il sipario e gli attori, ancora alle prese con truccatori e costumisti, incerti su un copione non già memorizzato, sono costretti ad apparire in scena e recitare a braccio, sebbene si tratti della replica di uno spettacolo già uscito nelle sale poco meno d'un anno fa in Puglia.La recidiva, però, rende quel melodramma dal sapore antico uno modernissimo psicodramma.Davanti a delle quinte di diffuso malcontento vanno in scena smorfie di disappunto, borbottii, parole di delusione, gesti di stizza, autocritica (poca), critica (a fiumi) e accuse fino all'atto di responsabilità finale.Peccato.Peccato perché lo strumento di scelta dei candidati instaurato dal PD nel centrosinistra è un meccanismo democratico che non può che far bene ad una giovane democrazia come quella italiana. Purtroppo, essendo così giovane e altrettanto travagliata, la nostra democrazia ancora non è riuscita a completare il percorso formativo dei suoi partecipanti. Non c'è culto della tolleranza, non c'è accettazione della sconfitta, non c'è rispetto per gli alleati e figuriamoci per gli avversari.
Se legittime sono le correnti all'interno di un partito o i temi su cui i componenti di una coalizione non convergono, non altrettanto possono esserlo la continua contrapposizione e la mancanza di collaborazione al loro interno.Molti nel PD non si rendono neanche conto dell'importanza dello sistema che hanno introdotto in Italia, o semplicemente non hanno ancora capito come funziona o come sia necessario comportarsi affinché esso operi a dovere.La logica delle primarie, che affida agli elettori il compito di decidere sulle proposte avanzate dal partito, si pensava avrebbe potuto persino appianare gli scontri all'interno delle segreterie. Invece, finora, hanno ottenuto l'esatto contrario, riuscendo a dividere ulteriormente fazioni già distanti tra loro e spaccare rapporti personali incrinati.
Per farla breve e riprendere la metafora con cui ho iniziato: il problema del PD (e intorno al PD) non è la pluralità di voci diverse, ma l'incapacità di quest'ultime di sottrarsi al protagonismo dei solisti e diventare un coro all'occorrenza.