Primarie di ordinaria follia

Creato il 05 marzo 2012 da Albertocapece

Licia Satirico per il Simplicissimus

Le precarie palermitane del Pd sono state vinte da un candidato del Pd non appoggiato dal Pd: questo, in estrema sintesi, l’esito della difficile consultazione svoltasi ieri nel capoluogo siciliano. Erano quattro i candidati del centrosinistra pronti a disputarsi la poltrona di sindaco: Rita Borsellino, gradita a Bersani-Sel-IdV, Fabrizio Ferrandelli, appoggiato dall’ala filo-lombardista del Pd siculo, Davide Faraone, sostenuto dalla corrente rottamatrice di Matteo Renzi, e Antonella Monastra, scissionista nata per gemmazione della corrente bersaniana di Rita Borsellino. Il vincitore, per una manciata di voti, è il trentunenne Ferrandelli, grande comunicatore dell’area “centrista” del partito. La Borsellino, amareggiata e stanca, chiede il riconteggio delle schede e parla di dosi di cattiveria che hanno superato il livello di guardia.

In un clima carico di tensione, accompagnato nei giorni scorsi da minacce di morte alla Borsellino, trentamila persone (diecimila in più delle previsioni) sono andate a votare. Non sono mancati episodi bizzarri, a cominciare dall’apartheid del seggio per gli immigrati, copiosamente sollecitati al voto dalle cooperative sociali facenti capo al vincitore delle primarie. Pare che i pullman di immigrati arrivassero a frotte, con un senso civico a dir poco sorprendente. Dei malpensanti hanno persino chiamato la Digos: i siciliani, si sa, sono sospettosi.

Dopo le sconfitte di Genova, Milano, Firenze e la legnata Vendola in Puglia, qualcuno continua ostinatamente a credere che le primarie mannare siano problemi locali. Certo, il Pd siculo è un territorio d’avanguardia, dove le scissioni coesistono con prove generali di Grosse Koalition: appena pochi mesi fa la segreteria nazionale (Jekyll) aveva tentato di imporre al Pd siciliano (Hyde) di indire un referendum per stabilire se continuare ad appoggiare Raffaele Lombardo. Nelle more della divisione, è nata una corrente Pd che potremmo definire postdemocristiana con lampi di progressismo: quella che ha vinto le primarie.

In condizioni normali dovrebbe essere rimessa in discussione la leadership di Bersani, ma le condizioni regionali e nazionali del Pd non sono normali e nemmeno stazionarie. Un partito di sinistra che appoggia un governo di destra genera critiche psichedeliche, come quella di Enrico Letta. La sconfitta del partito di centrosinistra sarebbe da attribuire unicamente all’alleanza con i partiti di sinistra: «i nostri elettori e militanti a Palermo ci hanno chiesto altro, un accordo di altro genere, che guardi al centro. È cambiato tutto, dopo Monti nulla è come prima. Le alleanze e il futuro si costruiscono sulle cose da fare».

Tutto sta nell’intendere quali siano le cose da fare. Il segretario del Pd potrebbe, ad esempio, chiarirsi le idee sull’articolo 18 e rendere ufficiale la posizione del suo partito sulla riforma del mercato del lavoro. Potrebbe spiegarci cosa intenda per confronto non sui “se” ma non sul “come” della Tav. Potrebbe spiegarci, già che c’è, perché i candidati ufficiali del Pd non siano mai espressione di rinnovamento, di coraggioso ricambio generazionale: la settantenne Rita Borsellino è stata battuta da un giovane di poco più di trent’anni, a conferma del fatto che non è sufficiente essere un’icona “della politica buona e pulita” per godere di credito illimitato. Un’icona scomoda, oltretutto: non bastano i fratelli, le vedove, i figli dei martiri, inermi intimiditi inesperti, a rigenerare un partito in crisi d’identità forse irreversibile.

Il Pd vince o perde a sua insaputa: in Sicilia sono accadute entrambe le cose, perché Ferrandelli è espressione di una corrente del Pd alternativa al Pd. Tra un po’ qualcuno, col plauso di Letta e Veltroni, proporrà di non lasciare Lombardo alla destra. Nel frattempo Bersani potrebbe incontrare Vladimir Putin per farsi spiegare come si vincano le elezioni senza l’antipatico problema di qualificarsi come partito e, soprattutto, come democratico.


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