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Prime nozze “arcobaleno” in Italia

Da Psicologiagay
 

Il 21 maggio scorso, Madre Vittoria Longhitano, prima donna parroco ordinata in Italia (la prima donna prete italiana è invece Madre Teodora Tosatti), ha sposato due coppie omosessuali, le prime in assoluto nel nostro paese, secondo il rito religioso della Chiesa vetero-cattolica e dell’Unione di Utrecht. Il matrimonio è stato officiato a Villa Cormano, nel Parco delle Colombine (Milano): Agnese e Letizia, come Paolo e Carmelo, si sono uniti in matrimonio all’aria aperta del parco, non riuscendo ad ottenere una chiesa che li ospitasse.

Prime nozze “arcobaleno” in Italia

Nel clima di fondamentalismo religioso che, come vediamo ultimamente, soffia da sempre anche negli Stati Uniti, accende una speranza la ferma volontà di Madre Vittoria, a dispetto di tutte le minacce e ostilità subite, di sostenere l’omoaffettività, all’interno di una dimensione religiosa riconosciuta.

Nessuna minaccia ai valori costituzionali, nessuna rivendicazione egoistica o perversa, nessuna sopraffazione. Al contrario, gay e lesbiche chiedono il diritto di contrarre matrimonio consensuale tra adulti consapevoli e, di conseguenza, il diritto ad impegnarsi responsabilmente tra di loro e nei confronti di eventuali figli.

Ancora oggi, in un Paese civilizzato ed emancipato, progredito come l’Italia, troppe persone reagiscono con ostilità, sospetto o indifferenza rispetto al tema dei diritti civili sollevato dalle coppie omosessuali. Soprattutto, viene osteggiato il più fondamentale diritto dell’uomo, essenziale per il proprio sviluppo psicofisico: il diritto ad amare ed a fecondare un legame attraverso l’impegno trascendente di creare una famiglia, basata sull’amore.

Considerando i grandi danni di tipo psicologico dello stigma sessuale che le persone omosessuali e transessuali subiscono è importante, da professionisti, rilevare quanto il poter godere di diritti civili (la letteratura scientifica è maestra in questo) abbassa notevolmente l’omofobia interiorizzata e i disagi che ne derivano.

Ai più convinti sostenitori della sacralità del matrimonio etero, verrebbe voglia di fare alcune domande, tra cui quella provocatoria di Michael Parenti in un suo articolo del 2004: “Sono gli eterosessuali degni del matrimonio?” . Come possiamo sostenere i matrimoni basati sul ricatto, sulla violenza domestica, su contratti pecuniari o combinati tra persone non consenzienti? Era sacro il matrimonio tra spose bambine ed i loro anziani carnefici, testimoniato nella storia e, purtroppo, ancora oggi diffuso in alcuni Paesi? E’ sacro il matrimonio riparatore al solo scopo di preservare l’immagine sociale? E’ ancora considerato sacro il matrimonio, a fronte del tasso di divorzi attualmente diffuso? Non troppo tempo fa, le persone separate e divorziate erano discriminate mentre il matrimonio interrazziale veniva stigmatizzato: è quanto accade oggi, nel caso dei matrimoni tra persone dello stesso sesso.

In definitiva, è il genere a definire la legittimità di un legame affettivo? Il legame d’amore rappresenta un vincolo intimo che neppure gli studiosi sono stati del tutto in grado di comprendere o spiegare. Etero e gay, lesbiche, trans, siamo attratti secondo leggi che più spesso i poeti hanno saputo interpretare. Come psicologi e psicoterapeuti, suggeriamo che ogni storia d’amore chiede rispetto e sospensione del giudizio – ingredienti di cui sarebbe bene abbondare in ogni nostra espressione.

Tornando al caso dei matrimoni gay celebrati in Italia, eventi del genere possono certamente scuotere l’opinione pubblica, ed è un bene. Il fenomeno dell’omoaffettività, finalmente depatologizzata e decriminalizzata, chiede di rendersi visibile anche nella forma più matura e profonda della religiosità concreta e condivisa. In un momento storico in cui il matrimonio etero appare un rito anacronistico, in calo rispetto alle diverse forme di convivenza, d’altra parte lesbiche e gay chiedono non solo di unirsi per la vita, ma anche di benedire tale legame di fronte a Dio.

Il modo migliore per affrontare questo cambiamento sociale ed antropologico, più che psicologico, è osservarlo senza pregiudizi e accoglierlo. Soprattutto per coloro che resistono e combattono l’emergere di questa realtà, l’invito è a liberare se stessi da paure e stereotipi che rendono prigionieri se stessi, prima degli altri.

A cura delle dott.sse Ilaria Peter Patrioli e Paola Biondi


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