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Ho sempre detestato i botti del primo agosto. Ancora di più e senza clemenza da quando ho iniziato a sentire quelli veri: che causano non luci nel cielo, morti per strada. Quest'anno mi va bene, sono lontano. Guardo, sul letto, le mie munizioni: occhi elettronici che trasformano il mio sguardo in immagine. Conto e riconto i cavi, le ottiche, gli accessori, che ci sia tutto. Per un'ulteriore tappa, verso i botti veri, quelli brutali. Due amori di Nikon. Silenziose e pronte a scattare. Non chiedono che di venire con me. Mi ascoltano, con infinita pazienza, borbottare. Gli passerà, si dicono.
Possibile che non mi vada a genio nemmeno il primo agosto? Che debba trovare a ridire anche di quello? Di' qualcosa di divertente, per una volta, Grossi. Okay. Tutti in piazza a ballare per la festa, allora: ma senza botti, senza sindaci e politici e presidenti della Confederazione a leggere discorsi. Che non sono mai davvero in italiano, mai davvero in tedesco e mai davvero in francese. Aria fritta senza ispirazione dentro. Senza memoria e spazio per gli altri. Noi. E basta. C'è sempre qualcuno che muore in qualche guerra nel mondo, a ogni primo agosto. Quest'anno ce n'è qualcuno in più. Come mi sarebbero piaciuti il mio paese, o il mio cantone o soltanto la mia città se per una volta avessero deciso di evitare di simulare e ricordare il frastuono della guerra per festeggiare. Esprimendo, con questa scelta, un profondo rispetto nei confronti di chi, avvolto dallo stesso spaventoso suono, in queste ore sta morendo in un paese chiamato Siria. Chiedo troppo, lo so. E non diverto nessuno.
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