Magazine Cinema

Prisoners

Creato il 04 novembre 2013 da Taxi Drivers @TaxiDriversRoma

Prisoners

Anno: 2013

Distribuzione: Warner Bros

Durata: 153′

Genere: Drammatico, Poliziesco, Thriller

Nazionalità:  USA

Regia: Denis Villeneuve

Data di uscita: 7 Novembre 2013

Indimenticabile per la costruzione concentrica di un dramma personale e di un Paese orientato da un’equazione matematica (1+1=1) tanto assurda quanto velenosamente concreta, il regista franco-canadese Denis Villeneuve si imbatte questa volta in una produzione statunitense per catapultarci in un’atmosfera di suspense, paranoia, giallo da risolvere.

Un cast stellare è coinvolto nel rapimento di due bambine. La tranquilla periferia di Boston si tinge di giallo nel giorno del ringraziamento, quando la famiglia di Keller (Hugh Jackman) e Grace (Maria Bello) si reca dagli amici Franklin (Terrence Howard) e Nancy (Viola Davis) per celebrare insieme la festività ritrovandosi invece a condividere il dramma della scomparsa delle figlie. Il detective Loki (Jake Gyllenhaal) conduce le indagini arrestando il sospetto numero uno, Alex (Paul Dano) che, alla guida del camper in cui potrebbero trovarsi le bambine, tenta invano la fuga. Durante l’interrogatorio Alex, il quale vive con la vecchia e accudente zia Holly (Melissa Leo), rivela un grave ritardo mentale. Nonostante Loki non sia sicuro della sua innocenza è costretto a rilasciarlo poiché non vi sono prove schiaccianti a suo carico. È a questo punto che Keller, certo della sua colpevolezza, conduce le sue ricerche parallele avviando un piano di giustizia personale al limite del sadismo.

Il film si apre con una scena di caccia condivisa da padre (Keller) e figlio, presagio della ricerca, inseguimento e cattura del (presunto) colpevole eseguiti con sorprendente maestria, ossessione e crudeltà da Keller. Aguzzino e vittima e al tempo stesso, Keller rapisce e tortura Alex convinto di riuscire a strappargli una confessione grazie alle sue tecniche di tortura – troppo affinate per credere sia la prima volta, mentre il piano progettato finisce per assoggettarlo a una caccia all’uomo disperata. In una piccola cittadina dove tutto sembra quieto e pacifico, tutti hanno uno scheletro nell’armadio (o scantinato) nascosto, letteralmente e metaforicamente. Tutti, dalle piccole scomparse a Keller ad Alex a Loki, sono prigionieri di una follia, di un passato, di un turbamento. L’incalzante ritmo della corsa contro il tempo nella cattura del colpevole si lega a un processo di svelamento dell’individuo da cui emerge una lettura della società americana profonda e corroborata dalla rivisitazione delle figure archetipiche del genere a cui viene iniettato un ingrediente disturbante, l’imprevedibile umano. Lungi dall’essere perfetti nell’adempimento del proprio dovere sociale – il padre non riesce a tutelare la sua famiglia abbandonandosi piuttosto a un vortice di violenza, il detective perde il controllo durante un interrogatorio sacrificando un possibile testimone, il sacerdote non è proprio quel che si direbbe uno stinco di santo – i personaggi di Villeneuve sono il frutto di un sistema dove la paranoia di un attacco imminente, naturale o dell’uomo, la dilagante convinzione dell’efficacia della giustizia privata, il senso di fallimento diffuso hanno preso il sopravvento infiacchendo il concetto generale di fede.

La condizione di prigionia conduce inevitabilmente alla disamina di un’altra piaga americana attuale come non mai, la tortura. La pratica della tortura viene mutuata dalle strutture e gerarchie promulgatrici dei dettami di ordine sociale: la violenza a suo tempo perpetrata dal sacerdote e ora portata avanti ostinatamente da Keller in nome di una giusta causa non è altro che la copia/emulazione di un modello comportamentale adottato in primis a livello governativo.

L’atmosfera thriller, twisted and dark, con false piste, nuovi indizi e insospettabili criminali, si regge sul filo della tensione e sull’uso consapevole di colpi di scena per arricchirsi di una valenza sociale e politica sullo ‘stato d’umanità’ degli Stati Uniti. La tortura è davvero un mezzo auspicabile, ragionevole e legittimabile? Esiste forse un momento in cui il sospetto viene arbitrariamente trasformato in certezza per esplodere poi nella più anarchica xenofobia? Quali sono le responsabilità di un Paese nella sempre più vacillante fede individuale?

L’incapacità di proteggere la propria famiglia, il bisogno malato di compensazione sociale del dolore appagato dalla punizione ‘religiosa’ all’altro sulla base dell’ingiustizia divina subita, lo stato di paranoia e diffidenza nei propri simili – a maggior ragione se stranieri – sono gli aspetti su cui Prisoners vuole (farci) riflettere delineando un tracciato preoccupante sulla condizione di disillusione e sfiducia totale in cui versano gli (ex) american dreamers.

Francesca Vantaggiato


Potrebbero interessarti anche :

Ritornare alla prima pagina di Logo Paperblog

Possono interessarti anche questi articoli :