Chissà quali parole avrebbe speso oggi, avendo la possibilità di ammirare l’italica scenografia. Chissà quante picconate sarebbero piovute sul capo di Mario Monti, Presidente del Consiglio e – a quanto pare – socio di Goldman & Sachs proprio come Draghi. La natura ambigua di Cossiga impone una certa calma nella valutazione di qualsiasi dichiarazione, tuttavia passa agli atti anche l’antipatia del politico sassarese nei confronti di Romano Prodi, definito, alla stessa stregua di Draghi, un «vile» (agosto 2005). Certo, fa specie la differenza di trattamento che Cossiga comunque ha riservato ai due: a gamba tesissima su Draghi, molto più morbido nei confronti del Professor Romano, mai nominato nelle allusioni alla famosa crociera sul Britannia.
Alle crociere, si sa, ormai siamo avvezzi. Francesco Schettino, il “Capitan Codardia” salito alla ribalta dopo la grottesca tragedia della nave Concordia, è entrato subito nell’immaginario italian-popolare. Nei giorni immediatamente successivi al naufragio del Giglio, ecatombe a mo’ di telenovela, tanto pregna di collegamenti e fili meta-testuali da diventare icona buona per considerazioni sociali e antropologiche, spuntò qualche timido riferimento al Britannia. Riferimenti sottili e sussurrati, inglobati e sommersi dal vorticoso ciclone mediatico scatenatosi sul nuovo kolossal made in Mediterranean Sea, narrazione già pronta per sfamare antologie letterarie e cinematografiche.
Lo Yacht "Britannia"
Eppure, cosa si intende per “Britannia”? Cosa accadde su quella nave, durante quella crociera allusa da molti e raccontata da pochissimi? Scrive Roberto Santoro, il 7 novembre del 2011: « Il 2 giugno del 1992 il direttore del Tesoro, Mario Draghi, sale sulla passerella del Royal Yacht “Britannia”, il panfilo della Regina Elisabetta ormeggiato nel porto di Civitavecchia. Draghi ha con sé l’invito ricevuto dai British Invisibles, che non sono i protagonisti di un romanzo complottista bensì i rappresentanti di un influente gruppo di pressione della City londinese, “invisibles” nel senso che si occupano di transazioni che non riguardano merci ma servizi finanziari. I Warburg, i Barings, i Barclays, ma anche i rappresentanti di Goldman & Sachs, finanzieri e banchieri del capitalismo che funziona, o funzionava, sono venuti a spiegare a un gruppo di imprenditori e boiardi di Stato italiani come fare le privatizzazioni».
Privatizzazioni furiose che hanno coinvolto qualsiasi ambito. La privatizzazione dell’Istruzione superiore, con i tagli alla scuola pubblica, la privatizzazione del mercato del lavoro, con il famigerato pacchetto Treu rincarato dalla riforma Biagi. Quel pacchetto e quella riforma intrisa di sangue aprirono il sipario sull’angosciante realtà del precariato, pesante fardello demonizzato e al contempo –chissà perché- difeso e tutelato da qualsiasi esecutivo, di destra e di sinistra, fino ad arrivare a Monti e alle sue infelici esternazioni.
Dunque, più che soffermarsi ad analizzare cosa avvenne e quali furono gli argomenti trattati sullo yacht Reale, è utile soffermarsi su ciò che accadde dopo quell’incontro, a cui erano presenti, come scrive Santoro, «il già citato Draghi, il presidente di Bankitalia Ciampi, Beniamino Andreatta, Mario Baldassarri, i vertici di Iri, Eni, Ina, Comit, delle grandi partecipate che di lì a poco sarebbero state “svendute”, così si dice, senza grande acume proprio da coloro che nell’ultimo scorcio della Prima Repubblica le avevano trasformate nei “gioielli di famiglia”».
Craxi lo disse allora, ma oggi non può ripeterlo. Craxi non c’è più. Ci sono in compenso altri personaggi che entrano e che escono come caselle perfettamente inserite di un domino. C’è ad esempio Reginald Bartholomew, figlio naturale del caso del 1993 che nel mese di giugno diventerà ambasciatore americano a Roma. Un anno dopo, siamo nel giugno 1994, con la scorpacciata del Britannia bella e consumata, ecco cosa dirà Bartholomew: «Continueremo a sottolineare ai nostri interlocutori italiani la necessità di essere trasparenti nelle privatizzazioni, di proseguire in modo spedito e di rimuovere qualsiasi barriera per gli investimenti esteri».
Scrive Sergio Romano sul Corriere della Sera, il 16 giugno 2009:
L’ uso del panfilo della Regina Elisabetta sembrò dimostrare che la crociera del Britannia era stata decisa e programmata dal governo di Sua Maestà. E il fatto che l’evento fosse stato organizzato da una società chiamata “British Invisibles” provocò una valanga di sorrisi, ammiccamenti e battute ironiche. Cominciamo dal nome degli organizzatori. “Invisibili”, nel linguaggio economico-finanziario, sono le transazioni di beni immateriali, come per l’appunto la vendita di servizi finanziari. Negli anni in cui fu governata dalla signora Thatcher, la Gran Bretagna privatizzò molte imprese, rilanciò la City, sviluppò la componente finanziaria della sua economia e acquisì in tal modo uno straordinario capitale di competenze nel settore delle acquisizioni e delle fusioni. Fu deciso che quel capitale sarebbe stato utile ad altri Paesi e che le imprese finanziarie britanniche avrebbero potuto svolgere un ruolo utile al loro Paese. “British Invisibles” nacque da un comitato della Banca Centrale del Regno Unito e divenne una sorta di Confindustria delle imprese finanziarie. Oggi si chiama International Financial Services e raggruppa circa 150 aziende del settore. Nel 1992 questa organizzazione capì che anche l’ Italia avrebbe finalmente aperto il capitolo delle privatizzazioni e decise di illustrare al nostro settore pubblico i servizi che le sue imprese erano in grado di fornire. Come luogo dell’incontro fu scelto il Britannia per tre ragioni. Sarebbe stato nel Mediterraneo in occasione di un viaggio della regina Elisabetta a Malta. Era invalsa da tempo l’abitudine di affittarlo per ridurre i costi del suo mantenimento. E, infine, la promozione degli affari britannici nel mondo è sempre stata una delle maggiori occupazioni del governo del Regno Unito.
Cameron, il giorno dopo la tragedia della Concordia, ha dichiarato che non potrà essere donato un nuovo Britannia alla Regina Elisabetta in occasione del suo Giubileo di Diamante. Niente Britannia dunque, in tempi così assonanti a quelli che furono, con Monti che fa l’Amato, Napolitano che fa lo Scalfaro (come più volte ripetuto dai giornali, in occasione della recentissima scomparsa di quest’ultimo) e Moody’s che fa Moody’s. Per il resto, ricetta al sacrificio in umido, con lacrime e sangue per questo paese che pare abbia perso ogni identità. Eppure, tanti anni fa, furono i Romani, con Claudio prima e Nerone poi, a coniare il nome Britannia nell’immaginario anglosassone. E se non è legge del contrappasso questa…
(Pubblicato su “Il Fondo Magazine“ del 6 febbraio 2012)