Inizierò col dichiarare apertamente lo scopo di questo post, che è esprimere a voi una mia riflessione, forse anche un piccolo sfogo. Non la considero una riflessione “definitiva”, cioè approdata a delle conclusioni che posso considerare tali, semmai una serie di appunti ancora in via di problematizzazione. Quindi il valore di questo post è alquanto limitato, non c’è alcun approccio “scientifico”e non so quanti comandamenti sulla buona scrittura sto violando. Molto probabilmente sarebbe più utile a tutti noi andarci a rileggere le Lezioni Americane di Italo Calvino, però nel frattempo non mi dispiacerebbe avviare una piccola discussione.
Sto leggendo un testo di storia delle religioni acquistato alla cieca in un mercatino. Il testo è di 10 anni fa e non è proprio aggiornatissimo su alcuni aspetti, inoltre il taglio didattico fa guadagnare in chiarezza ma perdere in complessità, quindi di alcune tematiche si è perso il senso della policromia in favore della semplificazione. Anni di studi umanistici mi hanno abituato a verificare personalmente le fonti e ad approfondire i passaggi troppo schematici, ma questo non è alla portata di tutti. Inoltre, per quanto si tratti di un testo divulgativo, per un pubblico di curiosi non specialisti, questo non giustifica la totale mancanza di riferimenti: non ci sono note che riportino alle fonti, testi di confronto, non sono nominati autori con interpretazioni differenti, discordanti o concordanti, non sono consigliate letture per approfondire.
Il curatore del testo è uno storico italiano con un curriculum di tutto rispetto, che sa quello che dice. Però questa “approssimazione” (diciamo pure “fisiologica”, dato che per un libro pensato per i lettori abituali di un quotidiano nazionale non si può stare lì a limare troppo fine) mi mette in bocca un senso di sgradevolezza, quasi di diniego.
Tutto ciò mi ha fatto fare un viaggetto mentale ripercorrendo una serie di letture con problematiche più o meno simili che mi causano lo stesso arretramento emotivo. Per tirar le somme, mi sono scritta sul retro del frontespizio, a mo’ di appunti in sequenza, 5 punti (anche un po’ banali, nel senso dell’aver quasi riscoperto l’acqua calda…) che si imparano prestissimo a scuola e prestissimo si dimenticano quando stai lì davanti al foglio e le idee non si organizzano per la loro struttura in sè ma si agglomerano coi tuoi pensieri, vissuti, emozioni, problemi, preoccupazioni del momento.
Ve lo riporto pari pari:
- avere rispetto per quello che si scrive/ fa/ crea/ produce/ insegna/ impara / studia/ racconta… Avere rispetto per l’oggetto che si sta trattando, per la materia, l’argomento, per quello che è in se stesso, per quello che è in quanto tale.
- dichiarare l’obiettivo: conoscere è diverso da informare; diverso è polemizzare; diverso è ironizzare; diverso è persuadere; diverso è dialogare, diverso è comprendere.
- tener conto del pubblico, non solo nei riguardi del lessico che esso può comprendere o che deve apprendere o dei problemi che lo possono prevalentemente interessare, ma anche tenendo condo di agevolare in ogni modo la possibilità che lui stesso colmi i vuoti che chi scrive, operando delle scelte, necessariamente non può riempire. Non sottovalutarlo ma agevolarlo.
- tener conto dell’emotività- propria e altrui- che può giustamente entrare nello scritto (in relazione all’obiettivo che ha) o che deve restare fuori. (tenere sotto controllo l’emotività, propria e altrui, versata nel messaggio e riversata sul lettore).
- porre una gerarchia tra questi punti, ovvero mantenere fisso il fatto che il centro non è la mia volontà ma l’oggetto di cui parlo; l’obiettivo che mi propongo non deve mai inficiare, camuffare o imbellettare, essere “infedele” all’oggetto di cui parlo, altrimenti, qualunque cosa io stia facendo, è disonesta.
Che ne dite?