Lara Lucaccioni
Cari amici lemattiani,
I nostri lemattiani fedeli ricorderanno che circa due anni fa abbiamo fatto una serie di post sull’IO Inside Out di Performance Strategies, un evento che vedeva la presenza sul palco di Giorgio Nardone e che ci vedeva seduti nella blogger hub a scriverne.
Ebbene, in questo libro agile e chiarissimo troviamo i sette punti del Problem Solving Strategico illustrati alla perfezione e corredati da numerosissimi casi, in cui Nardone racconta i suoi interventi, che a tratti a me sembrano davvero magici e per certi versi addirittura simili alla Psicomagia di Jodorowsky (sarò mica la prima a notare delle somiglianze?).
La Terapia Breve Strategica che Nardone sta sperimentando con successi incredibili da più di vent’anni ha come peculiarità che si concentra sullo status quo e sulle soluzioni, senza andare a scovare le eventuali motivazioni inconsce del problema e le origini dei blocchi: non si conosce per cambiare, ma si innesca il cambiamento per conoscere.
Nardone definisce il Problem Solving Strategico ”l’arte di trovare soluzioni a problemi, irrisolvibili mediante una logica ordinaria, ricorrendo a espedienti che violano il buonsenso e che offrono possibilità prima inaccessibili poiché ingabbiate entro rigidi schemi.”
Insomma si sfida la logica abituale, quella che ci fa fissare sulle tentate soluzioni, tentate perché appunto logiche, ma anche per questo inefficaci, e si agisce attraverso stratagemmi che magicamente interrompono lo status quo e danno una spinta propulsiva al cambiamento e al superamento del problema.
Ma ecco di seguito le 7 fasi:
1. Definire il problema nei termini più concreti e descrittivi possibili
La prima fase è una delle fasi fondamentali di ogni processo creativo (lo è anche nel nostro Crealab): definire il problema in maniera concreta e descrittiva, in tutti i modi possibili.
Questa è una fase che può anche essere tra le più lunghe, perché sarebbe bene ridefinire ripetutamente le caratteristiche del problema, cercando di osservarlo da più prospettive, che magari ci fanno già intravedere delle soluzioni che non avevamo minimamente previsto.
“Spendere più tempo all’inizio fa guadagnare tempo ed energie in un secondo momento. Come indica l’arte dello stratagemma: “Partire dopo per arrivare prima.”
2. Concordare l’obiettivo
La seconda fase prevede di descrivere i cambiamenti concreti che, una volta realizzati, farebbero affermare che il problema sia stato risolto, cioè concordare l’obiettivo.
Uno step in più si ha quando si lavora con più persone, momento in cui concordare l’obiettivo contribuisce anche a fare teaming, cioè a formare un gruppo allineato allo scopo.
3. Individuazione e valutazione di tutte le soluzioni tentate
La terza fase è già una fase originale del Problem Solving Strategico ed è la valutazione di tutti i tentativi fallimentari messi in atto per risolvere il problema: Nardone la considera la fase cruciale per lo studio della soluzione.
Se una persona ha paura di parlare in pubblico, questa paura è di solito alimentata dal fatto di cercare di controllare questa paura, o cercando di evitare di esporsi in pubblico o cercando di controllare le proprie reazioni concentrandosi su di esse. Queste migliori intenzioni producono però effetti peggiori, perché il comportamento evitante ci conferma che siamo inadeguati a parlare in pubblico e così la paura si trasforma facilmente in panico.
Sono proprio le tentate soluzioni messe di solito in atto ad alimentare il problema a peggiorarlo: per questo la loro valutazione fornisce un accesso privilegiato alla soluzione del problema. Investigare su tutto ciò che non ha avuto successo ci permette di essere focalizzati sulla dinamica concreta che mantiene un problema o che viceversa lo può cambiare.
Ciò che ha avuto successo in passato, inoltre, spesso fallisce nel presente, poiché tempi diversi richiedono differenti applicazioni o varianti di una stessa soluzione.
Spesso far analizzare e valutare sistematicamente al soggetto le sue tentate soluzioni, per quanto basate su una giusta causa, può essere sufficiente a sbloccarlo definitivamente.
4. La tecnica del come peggiorare.
Per facilitare l’analisi delle tentate soluzioni non basta concentrarsi su quelle messe finora in atto, ma è importante indagare anche quelle che potrebbero essere messe in atto in futuro e rivelarsi fallimentari.
La domanda cruciale da porsi in questa fase è “Se volessi peggiorare ulteriormente la situazione, invece di migliorarla, come potrei fare?” e cercare di elencare le possibili modalità di fallimento. L’obiettivo è avere chiare le modalità per le quali si potrebbe aggravare il problema invece di risolverlo.
Se l’obiettivo, invece che risolvere un problema, fosse il miglioramento di una situazione la domanda da porsi è: “Quali sono tutti i metodi o le strategie che, se adottati, porterebbero a un sicuro fallimento del mio progetto?”
Se vuoi drizzare una cosa, impara prima tutti i modi per torcerla di più.
Se rilevo tutto ciò che può essere fallimentare, creo immediatamente in me l’avversione verso tali possibili azioni e queste sono pure le domande che si sono posti i più grande inventori, da Archimede a Leonardo ad Edison.
Se voglio perdere peso ed applico la tecnica del come peggiorare, mi accorgo che è proprio nell’ipercontrollo di ciò che mangio che si innesca la spirale perversa per cui riesco a resistere alcuni giorni, ma poi mi abbuffo dei cibi proibiti o provo un’irrefrenabile compulsione a mangiare di più. Insomma, stare a dieta fa ingrassare ^_^
Costringendo la mia mente a cercare di rilevare tutte le soluzioni fallimentari, di solito faccio sì che essa, per contrasto, vada spontaneamente in cerca di soluzioni alternative.
Questa è una delle fasi davvero creative del metodo: quando ci sforziamo di trovare soluzioni alternative volontariamente e razionalmente di solito tendiamo a ricalcare sempre i nostri abituali itinerari mentali; se, invece, spingiamo la nostra ragione a cercare metodi per fallire, la liberiamo, in qualche modo, e smetterà di impedirci nuovi processi creativi.
5. La tecnica dello scenario oltre il problema
Questa fase è un’altra di quelle realmente innovative del Problem Solving Strategico: immaginare lo scenario ideale al di là del problema.
Quale sarebbe lo scenario, una volta che il problema fosse davvero risolto o la situazione realmente migliorata?
“Dobbiamo convincere la nostra mente a immaginare quali sarebbero tutte le caratteristiche della situazione ideale, dopo aver realizzato il cambiamento strategico.”
E’ questo un modo per rilevare concretamente le caratteristiche della “realtà ideale” da raggiungere, che spesso ci permette di vedere cose che non saremmo in grado di concepire se lavorassimo semplicemente sulla realtà presente o passata.
La tecnica serve principalmente a liberare la pura immaginazione per poi selezionare gli aspetti realizzabili concretamente e, come corollario, anche a farci vedere quali sarebbero gli effetti collaterali indesiderati del successo del nostro progetto.
6. La tecnica dei piccoli passi e quella dello scalatore
“Anche il viaggio più lungo inizia con il primo passo”
Per sbloccare una situazione problematica è fondamentale iniziare dal più piccolo ma concreto cambiamento ottenibile. Iniziare dal passo più semplice riduce la nostra resistenza al cambiamento e ci salva dalle nostre eventuali incapacità di compiere grandi azioni.
Qualunque sistema vivente, infatti, possiede la caratteristica di resistenza al cambiamento del proprio equilibrio, quando questo si è consolidato da un certo periodo di tempo: è il principio di omeostasi.
Il primo piccolissimo passo sarà quindi seguito dal secondo e così via. Una volta innescata la progressione, questa da graduale si trasforma in esponenziale innescando il cosiddetto effetto valanga.
Spesso il problema è capire quale sia questa prima piccola mossa e qui entra in scena la tecnica dello scalatore, che ci aiuta a pianificare la sequenza di azioni da intraprendere per raggiungere l’obiettivo fissato.
Il modello è quello delle guide alpine esperte che studiano il percorso per scalare la montagna dalla vetta andando a ritroso e tracciando le tappe fino all’attacco.
Quando si ha un problema complesso da risolvere è utile partire dall’obiettivo da raggiungere e immaginare lo stadio subito precedente, e poi lo stadio precedente ancora sino al punto di partenza. Questo permette di frazionare l’obiettivo finale in tanti micro obiettivi che tengono conto del punto di arrivo per tornare fino al primo passo da eseguire.
7. Aggiustare il tiro progressivamente
A volte i problemi sono complessi al punto da richiedere non una sola soluzione, ma una serie di soluzioni in sequenza. Di fronte a situazioni di questo tipo è fondamentale non affrontare insieme tutti i problemi e iniziare, invece, ad affrontare il più accessibile per poi passare al secondo e così via, mantenendo, comunque, la visione della globalità e delle interazioni tra le concatenazioni di problemi.
Talvolta, sbloccate le prime rigidità, la situazione può apparire diversa da come sembrava all’inizio e quindi è necessario fermarsi e procedere alla ridefinizione del problema e magari degli obiettivi.
Un buon Problem Solver Strategico deve rappresentare la sintesi tra rigore e flessibilità: “Il rigore da solo è la morte per asfissia, la creatività da sola è pura follia.” Gregory Bateson
Per concludere, il libro è corredato da numerosissimi casi spiegati e risolti da Nardone, che contribuiscono a portare luce su tutte le fasi del sistema e che a volte sono davvero geniali; per chi volesse approfondire ulteriormente altri casi trattati da Nardone, un altro libro che vi consiglio fortemente è Psicosoluzioni, edito da Rizzoli.
PS. Per chi si fosse appassionato all’argomento, Nardone sarà relatore di un evento di Performance Strategies su paura e coraggio il 23 e 24 marzo: chiedici più info per partecipare con uno sconto speciale!