Un acquario è l’habitat artificiale di grandi varietà di pesci, che amano – o forse no – galleggiare in acqua ricca di ossigeno, sottoforma di bollicine, che viene cambiata quasi ogni giorno; e i pesci, che amano – o forse no – starsene dentro un mondo marino realizzato in scala A:1 quale l’acquario, non hanno voce in capitolo. Pertanto essere un acquario è ripudiante innanzitutto per la posizione che occorre tenere, e poi per la numerosa quantità di pesci da intrappolare, situazione altrettanto scomoda. Ho continuato a credere che il fatto di essere un acquario significasse essere legati in qualche modo all’ambiente marino o, per lo meno, amarlo. Posso solo confermare di esserne meravigliata dalle bellezze che può offrire l’ambiente marino, ma sinceramente le cose non stanno così. Da piccola ho sempre avuto paura di andare a largo – come la maggior parte dei bambini, infondo – ma mentre mio fratello si faceva lunghe nuotate record per raggiungere barche o navi molto lontane dalla riva, io me ne stavo con braccioli e salvagente in riva a guardarlo che si rimpiccioliva all’orizzonte. Preferivo andare sott’acqua e guardare i pesci che nuotavano attorno ai miei piedi che mi divertivo ad allontanare scalciando ripetutamente sul pietrisco. La paura di nuotare a largo arrivò dopo che la mia bocca ebbe assaporato più volte lo strano sapore dell’acqua salata del mare, ben diversa da quella usata per bollire la pasta. Giocavo molto in acqua, fino alle 8 di sera, ma l’idea di andare a largo non mi stuzzicava molto: mi mettevano paura i fondali marini, scuri e tenebrosi, e quegli scogli viscidi sulle quali è facile scivolare poggiando leggermente un piede. Gran parte della colpa posso darla a film, quali “Blu profondo”, che mi hanno fatto conoscere la ferocità di una balena, e la possibilità che essa possa fuoriuscire dal buio dei fondali in maniera dinamica e alquanto violenta, anche nei posti più impensabili. Qualche anno dopo in un paese vicino è stata avvistata una balenottera a cento metri dal bagnasciuga, una notizia che non mi stravolse più di tanto perché nella crescita tra infanzia e adolescenza, smisi di aver paura di molte cose, diventando più razionale e realista ( lo stesso anno smascherai l’identità Babbo Natale ). Scoprii che non si trattava di una vera e propria fobia quella del mare, ma che mi spaventavano i film d’horror americani!
Sono sempre stata un acquario da 20 anni a questa parte e ne ho vissuto bene la convivenza. Inizialmente non ho dato peso al fatto di dover condividere il mio corpo esile e gracilino con un acquario e che lo stesso avrebbe potuto recarmi qualche problema, come il dover cambiare l’acqua giornalmente. Lo ammetto di aver alzato il costo dell’affitto da quando il mio aspetto ha cominciato a mutare e a farsi più grande fino ad arrivare a uno e sessanta di altezza, trent’otto di piedi e di jeans. L’acquario rinnegò presto la sua identità sentendosi più pesce che acquario, proprio“come un pesce nell’acquario”, e di cui l’acquario in questione ero diventata io. Fu un grosso colpo per lui, che non ne volle sapere più niente di marina e di astrologia, e lasciò vitto e alloggio alla ricerca di un corpo più piccolo da comandare. Fu proprio questo il suo errore: la convinzione di poter influenzare quello che realmente ero, facendomi credere alle affinità, agli ascendenti e alle opposizioni della luna e degli astri. Da allora nessuno fu in grado di condizionarmi. Dell’acquario me ne restò solo un po’ d’acqua ristagnata dal retrogusto di pesce marcio, qualche alga attorno allo stomaco e una piccola casetta di argilla all’altezza dell’ombelico di cui riuscii a liberarmene scaricando lo sciacquone!
Il primo ostacolo della mia vita fu superato. In molti lo chiamano “problema esistenziale” o “problema d’identità”, io credo pienamente che il giorno in cui sono nata l’intero universo ha sistemato bene la mira dandomi un colpo sicuro in pieno centro. Per questa ragione lo definisco un “problema con gli astri” ormai superato.
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