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Professione: serva della gleba (a testa alta)

Da Rossopeperino @rossopeperino
Volevo fare la maestra d'asilo. Ho anche più o meno studiato per poter coronare questo modesto sogno. Poi la vita mi ha portato a prendere strade alternative e a digerire compromessi che mai avrei pensato di poter accettare. Con i bambini poi modestamente ci so fare, questione di empatia: sarà che riesco a stabilire un contatto o forse perché sono un'eterna Peter Pan. Dio, quanto vorrei pasticciare, fare le collane con i maccheroni, la pasta sale, sporcarmi con la tempera e incollarmi la Vinavil sulle mani. Chissà come è successo. Sono finita in un ufficio grigio e opprimente a registrare fatture e a rispondere a quel telefono che squilla nevrotico ogni minuto in un silenzio assordante interrotto solo dal fischio del fax, dal rullo della fotocopiatrice e dal ticchettio delle dita sulla tastiera. Piacere, io sono la signorina che  porta il caffè, quella che smista la posta e che fa tutto ciò per cui, le mie colleghe più qualificate di me si sentono troppo "laureate" da prendersi la briga di fare. Non è concesso nemmeno lamentarmi, ero cosciente quando ho accettato, quelle sarebbero state le mie mansioni.
Professione: serva della gleba (a testa alta)
Quanto vorrei aver a che fare con dei piccoli mocciosi dai i pannolini puzzolenti piuttosto che con quei cagoni (e di questa categoria avevo già parlato qui) boriosi e altezzosi, gente importante solo sul conto in banca. L'altro giorno ha fatto il suo ingresso in ufficio, il solo ed unico, osannato da tutti, genere Briatore ma con qualche anno in più e senza maglioncino girocollo, pezzo grosso di calibro nazionale, gran faccia di merda. Tappeto rosso e leccate di culo a volontà. Nemmeno un accenno di saluto, si accomoda in sala riunioni e mi ordina di portargli un caffè accendendosi una sigaretta. Torno dopo qualche istante con vassoio e posacenere, ma con orrore mi rendo conto che col benestare del capo, imbarazzato e notevolmente a disagio, sta scenerando sul pavimento di parquet. Lurido bastardo. Il cuore mi rimbalza nel petto e mi impongo di stare calma, mi sento pervasa da una vampata di calore, mi sento le gote rosse come pomodori. Adesso gli sputo in faccia, no anzi gli sputo in bocca. Questa me la lego al dito medio. L'unica cosa che mi esce dalla bocca è un "Comunque, le avevo portato il posacenere". Esco dalla saletta. Mi odio con tutta me stessa perché non sono stata capace di dire nulla. Ma quando sono diventata così? Da quando permetto alle persone di trattarmi in questo modo? Sono amareggiata, soprattutto da me stessa: la fame, la paura di perdere un posto di lavoro, tra l'altro di merda, mi ha resa una serva della gleba. Ma, citando una nota canzone che in realtà aveva tutt'altro significato, a testa alta. Col cazzo che vado in sala riunioni a pulire, impongo a me stessa di non azzardarmi a schiodare il culo dalla sedia. E così faccio. Passa un'ora, due, tre. Mi scappa un'occhiata nella saletta e vedo il capo, chino con le ginocchia a terra raccogliere la cenere con straccio e spruzzino alla mano. Sorrido. Mi sento un po' come Fantozzi che si gustava la propria rivincita dopo aver esclamato: "La Corazzata Potemkin è una cagata pazzesca".


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