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Programmare, programmare, programmare: per moltiplicare il progetto-Benetton

Creato il 07 settembre 2012 da Ilgrillotalpa @IlGrillotalpa

Programmare, programmare, programmare: per moltiplicare il progetto-BenettonFrancesco Costantino per La Meta

Lo ammetto: pensavo che gli Ospreys sarebbero riusciti a segnare la meta della vittoria sul loro ultimo, disperato, assalto. Quando, invece, i gallesi hanno perso palla e Semenzato ha calciato fuori l’ovale sono rimasto sinceramente sorpreso. Perché la storia del nostro rugby è piena d’imprese sfiorate che diventano tragedie quando si ha anche la sensazione di aver giocato un buon rugby. Non è il caso di quanto visto a Monigo ma la vittoria dei Leoni non
può che porre degli interrogativi.
CHI LO DICE CHE NON POSSIAMO VINCERE?
Mi è piaciuta molto la definizione di Elvis Lucchese sul Corriere Veneto di un Benetton “a chilometro zero”. In campo c’erano ben sei veneti tra i quindici titolari di cui quattro nati a
Treviso. A me è sembrata meravigliosa questa cosa. Perché possiamo parlare di professionismo quanto vogliamo ma concetti come lingua, territorio e appartenenza esistono nel rugby e non possono essere derubricati alla voce folclore leghista da parte di nessuno. Quando Zatta premia a metà campo con il leone di San Marco intorno al collo
reclama un orgoglio che non è banalità. Ma metterla sul piano geografico vorrebbe dire sminuire un lavoro che è giunto ormai al terzo anno e che, in realtà, parte da molto più lontano.
Gli italiani, infatti, possono battere i maestri ma solo programmando. La vittoria di Treviso contro gli Ospreys è figlia di un progetto fatto di convinzioni radicali, e radicate, e di tanto sangue freddo. Oltre che di pazienza. Treviso ha vinto perché ha uomini che cominciano ad essere abituati a gestire partite del genere. Perché, nello sport in generale, si può avere la meglio anche quando si gioca male. Basta avere il killer instinct. Quello che ti permette di
difendere ordinatamente nei pressi della tua area di meta aspettando l’errore dell’avversario.
SI PUÒ REPLICARE IL MODELLO TREVISO?
Non si può, si deve. Questo non è uno spot elettorale ma una semplice, e oggettiva, constatazione. Se si prende un manager che capisce di rugby, una società formata da gente
seria, un presidente mai sopra le righe eppure presente, uno sponsor munifico e
appassionato si raggiunge la quadratura del cerchio. Bella scoperta, si dirà. Eppure non è così facile ripetere quanto descritto. Il nostro è un movimento schizofrenico che non è in grado di mettersi a un tavolo e di darsi regole certe per un giusto periodo (quattro anni?) puntando su persone competenti il cui lavoro dovrà poi essere vagliato e giudicato da elementi altrettanto competenti e, soprattutto, super partes. In questo senso ho un pizzico di speranza perché anche a Calvisano, fatte le debite proporzioni, Gavazzi ha operato in questo modo: certezza dei costi, controllo totale delle operazioni, sfruttamento delle risorse interne e fiducia massima nello staff tecnico. Ovvio, dalle parti di Brescia non si sono mai visti Gilberto e Luciano… ma questo poco cambia. La lezione da mandare a memoria prima di varare il nuovo corso è ormai semplice: programmare e verificare sono gli imperativi di chi vuole ottenere risultati.  Il tutto senza fretta e tagliando i parassiti.


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