"[...] Credo che nel giro di poco tempo tutto si chiarirà perchè mi sembra che alla base ci sia un equivoco comunicativo. Nessuno ha parlato di un'alleanza fra Bersani, Vendola e Casini. Questa è stata la vulgata ma la realtà è un'altra. Noi pensiamo ad un campo tra democratici e progressisti, non solo tra i partiti ma con associazioni e movimenti, rivolgendoci a tutte quelle forze che non accettano la deriva populista, di destra e anti-europeista, che sta sempre più prendendo piede.[...]" Fra equivoci ed incomprensioni, sembra essere questo il contenuto fondamentale della proposta politica divulgata dal Pd a livello nazionale: di fronte ad un momento negativamente straordinario della storia italiana, è opportuno e necessario che tutti provino a dare forza al malato-Italia. Il "campo" fra democratici e progressisti dovrà, alla prova dei fatti, cercare con ogni mezzo di evitare la degenerazione in camposanto riformatore: sarà nei fatti possibile realizzare pienamente la carta d'intenti promossa, considerando quanto negativamente i "mercati" possano incidere sulle nature democratiche degli Stati ritenuti maggiormente "a rischio"? L'urgenza prioritaria delineata (a parole) è quella di "tenere insieme questione democratica e questione sociale", cercando di non navigare a vista fra le emergenze (improvvisamente?) venute fuori in questi mesi: recessione ed economia, seguite a ruota da questioni afferenti al campo dei diritti civili (attualmente repressi). Quali "paletti" anteporre agli eventuali confini da non oltrepassare per realizzare una futura compagine (coerente) di Governo in (dis)continuità con le politiche passate? Il primo è, fra tutti, un netto "no" a posizioni regressive anti-Euro, anti-fisco ed anti-immigrati. Il secondo principale sembra sia infine afferente alla necessità di radunare esponenti di "[...]forze moderate per le quali non è possibile cedere alle sirene populiste.[...]". Il richiamo al populismo risuona come univocamente direzionato verso quelle "forze politiche" che, ad oggi, continuano a promettere di risolvere gli stessi problemi che hanno aggravato loro: spunta un PdL (o PdB) che promette un piano di dismissioni, abbassamento delle tasse e del livello di debito pubblico. Chi ha contribuito ad infiammare l'Italia continua, imperterrito, a dichiarare intenti "ondivaghi", giusto per seguire l'orientamento istantaneo del consenso da intercettare: prima un no all'Europa, poi un forse ed infine un sì condizionato esclusivamente alle "colpe" della Germania. In secondo piano, tornano "all'arrembaggio" voci ed interviste inneggianti all'abolizione dell'Imu ed alla soppressione di Equitalia. Tutto, ovviamente, da realizzarsi alla ricerca della soluzione più facile da vendere: come cercare di migliorare l'esistente cercando di alleggerire le spalle di chi è (quasi o già) alla canna del gas? A quali risorse attingere per colmare l'eventuale gap prodotto dal mancato introito della tassa sull'abitazione? A queste e moltissime altre domande dovrebbe rispondere, con serietà e consapevolezza, una forza capace di definirsi progressista e non populista. Scrivere ulteriormente di certe dichiarazioni (e certi fantocci) è per certi versi peggio che sparare sull'ambulanza (del manicomio). Guardando all'orizzonte del 2013, pertanto, risulta un pò meno difficile destreggiarsi in mezzo a certa melma: su questo fronte, fino a prova contraria, il Pd sembra avere forse un'(altra) occasione chiave da non gettare al vento. Come promuovere una vera alternativa di Governo senza cadere nella trappola dettata da strapotere e squilibrio finanziario? L'intervista fatta al Segretario Bersani sembra muovere qualche (timidissimo) tentativo di circoscrivere l'eventuale rischio di nuove largh(issim)e intese: "[...]Tutto dipende da quelle che succede nelle prossime settimane. L'altro ieri, con la riunione della Bce, c'è stato un passo avanti, ma non risolutivo. Quello che viene fuori è che un Paese, in parte vittima dei suoi problemi, in parte dell'attacco al sistema Euro, per far mettere in moto procedure che lo aiutino [...]deve chiedere l'intervento europeo facendo scattare procedure di supervisione e se nza sapere quali sono le condizioni che questo pone.[...]" In altre parole, stando a quanto dichiarato, in caso di richieste d'aiuto scatterebbe una sorta di "commissariamento incognito": è questa l'unica soluzione (o compromesso) che un'Europa multi(de)forme è stata capace di elaborare? Sulla necessità di fornire "garanzie politiche" da parte di chi dovrà amministrare in futuro cosa è possibile dichiarare? "[...]Ricordo che i Governi di centrosinistra hanno più volte dimostrato di saper affrontare e superare i problemi. Non c'è bisogno di ricorrere ai governissimi.[...]" Stando alle nuove condizioni al contorno ed alle degenerazioni maturate in questi ultimi periodi, sarà ancora possibile dichiarare di poter seguire i propri intenti senza riserva alcuna? La storia recente sembra fornire, purtroppo, risposta negativa alla precedente domanda. Sullo sfondo di dichiarazioni ed intenti, per fortuna o purtroppo, rimangono sigle e bandiere di Partiti "costretti" a doversi alleare per avere la possibilità di governare (dopo l'approvazione di una legge elettorale degna). A quali "voci" ha scelto di parlare il Partito Democratico? L'intento sembra, al momento, quello di delineare un "campo di democratici e progressisti": quali "etichette politiche" sintetizzare sotto questo titolo? Al momento, salvo diverse intese, il quadro contempla Pd accanto a Sel. Dalla cornice è stato "espulso" (forse troppo velocemente) l'Idv, vittima di un'eterna rincorsa all'untore. E' possibile espellere uno schieramento basandosi esclusivamente su (certe) dichiarazioni fatte dal suo leader incapace di minimizzare le distanze tra fasi di protesta e proposta? Costruendo alleanze su base governativa, è possibile richiamarsi alle moltissime esperienze cumulate a livello locale dove il "trittico" Pd-IdV-Sel ha fatto (e sta facendo) ottenere qualche soddisfazione? Quale sembra essere al momento l'orientamento del Pd nel rapporto con l'Idv? "[...]Io credo- avendo mostrato, in tutti questi mesi, assoluto rispetto per l'Idv e Di Pietro ed avendo sentito posizioni inaccettabili [...]-che la scelta di Di Pietro sia inequivocabile. Di fronte al passaggio che abbiamo davanti, cioè govenare una crisi inedita [...], Di Pietro ha scelto il disimpegno e da questa scelta sono derivati dei comportamenti che hanno portato a questa situazione. Nessuno potrà mai dire che è responsabilità del Pd.[...]" Quale sembra essere invece la voce di Di Pietro di fronte a questa scelta, ritenuta inevitabile per colpe unilaterali? "[...]La storia dei nostri ultimi anni dice che siamo un partito di centrosinistra. Infatti [...]noi siamo in linea con i dieci punti del programma di Bersani e del Pd. Il punto è che quei dieci punti sono antitetici a quello che Pd e Udc stanno votando in aula in questi mesi.[...]" Si misura purtroppo su questo il mancato confine intravisto fra protesta e proposta: che ne potrebbe essere ora dell'Italia (e degli italiani) senza le "rassicuranti" misure fatte approvare dal Governo Monti? E' più comodo (e funzionale al consenso) demolire, anzichè cercare di costruire qualcosa. Di Pietro non dovrebbe dimenticare che, proprio dall'Idv, sono "spuntati" come funghi velenosi alcune tra le figure più indecenti degli ultimi anni che hanno contribuito, salvo differenti visioni, a tenere in vita quell'orrore rimasto in piedi fino all'ottobre del 2011: mai scordare i fatti del passato, appunto. Sullo sfondo rimane, comunque, la necessità di oltrepassare la visione del "partito personale", attualmente sicuramente incarnata (non solo!) dall'Idv: l'elettore medio sembra voler infatti superare la visione del leader maximo a cui consegnare lo "scettro del potere". Idv o non Idv? Essendo incerto fra protesta e proposta, la domanda sembra restare attualmente irrisolvibile. Esiste un senso anche nelle parole di Di Pietro? In parte, sicuramente sì: andare "oltre" il Governo Monti può significare (ri)tornare su alcuni discutibili passi promossi ed avvallati in una situazione di emergenza (dichiarata) gravissima? Sarà possibile apporre miglioramenti a qualche provvedimento senza incorrere nella ribellione dei "mercati" e, pertanto, in un nuovo incubo di default finanziario (e quindi sociale)? Su queste domande si gioca larga parte della carta d'intenti siglata ed inaugurata come manifesto da cui ripartire. Su queste domande si gioca anche larghissima parte del "patto" con quelle forze "moderate" che hanno fino ad oggi sostenuto il Governo Monti senza distinguo alcuno: l'UdC primo fra tutti. Quali le parole e quali, quindi, gli intenti conseguenti? "[...] Alle elezioni ciascuno si presenterà con i propri programmi e le proprie liste [...] e la direzione di marcia è quella del Governo Monti, indietro non si torna. Abbiamo sottoscritto gli impegni della Bce, a partire dal fiscal compact e dal pareggio di bilancio, dunque la strada della prossima legislatura è segnata. [...]" Se le condizioni lo permetteranno sarà poi possibile una "convergenza" con il Pd, da siglarsi per il "bene del Paese": quali orizzonti hanno dichiarazioni come queste? Quali confini ha la "disponibilità" dimostrata e sintetizzata dal leader centrista? Appoggiare in toto quanto fatto approvare dal Governo Monti (errori compresi) è un gesto azzardato, sotto moltissimi punti di vista. Quali battaglie intraprendere nel campo dei diritti civili, nel quale certi "moderati" sembrano avere posizioni più estremiste che mai? La sfida sembra essere grande, forse anche troppo per la (mancata) fiducia data al sistema partitico nelle condizioni attuali: l'apertura alla società civile (e coerentemente determinata nel volersi mettere in gioco) sembra, in questo senso, inevitabile. Esiste la possibilità di coinvolgere concretamente "voci" veramente disposte a mettersi in gioco per il bene del Paese, senza dover per forza (e pigrizia?) delegare il tutto a forze partitiche ritenute imbarazzanti? Il campo di "battaglia" sembra essere immenso, sia a livello di intenti che di programmi. Protesta ed indignazione andranno ascoltate, capite e "ragionate" in termini e misure concrete capaci di evitare l'esclusivo beneficio sul breve termine; se così non sarà, probabilmente, il conto non si fermerà alle "cinque stelle" che fino ad ora si sono "manifestate" ai Partiti. Le "etichette" dovranno trovare conferma nei fatti, ovviamente. Ai posteri (ed elettori) l'ardua sentenza.
Progressisti, moderati, ribelli & co.: quali orizzonti?
Creato il 05 agosto 2012 da Alessandro @AleTrasforini"[...] Credo che nel giro di poco tempo tutto si chiarirà perchè mi sembra che alla base ci sia un equivoco comunicativo. Nessuno ha parlato di un'alleanza fra Bersani, Vendola e Casini. Questa è stata la vulgata ma la realtà è un'altra. Noi pensiamo ad un campo tra democratici e progressisti, non solo tra i partiti ma con associazioni e movimenti, rivolgendoci a tutte quelle forze che non accettano la deriva populista, di destra e anti-europeista, che sta sempre più prendendo piede.[...]" Fra equivoci ed incomprensioni, sembra essere questo il contenuto fondamentale della proposta politica divulgata dal Pd a livello nazionale: di fronte ad un momento negativamente straordinario della storia italiana, è opportuno e necessario che tutti provino a dare forza al malato-Italia. Il "campo" fra democratici e progressisti dovrà, alla prova dei fatti, cercare con ogni mezzo di evitare la degenerazione in camposanto riformatore: sarà nei fatti possibile realizzare pienamente la carta d'intenti promossa, considerando quanto negativamente i "mercati" possano incidere sulle nature democratiche degli Stati ritenuti maggiormente "a rischio"? L'urgenza prioritaria delineata (a parole) è quella di "tenere insieme questione democratica e questione sociale", cercando di non navigare a vista fra le emergenze (improvvisamente?) venute fuori in questi mesi: recessione ed economia, seguite a ruota da questioni afferenti al campo dei diritti civili (attualmente repressi). Quali "paletti" anteporre agli eventuali confini da non oltrepassare per realizzare una futura compagine (coerente) di Governo in (dis)continuità con le politiche passate? Il primo è, fra tutti, un netto "no" a posizioni regressive anti-Euro, anti-fisco ed anti-immigrati. Il secondo principale sembra sia infine afferente alla necessità di radunare esponenti di "[...]forze moderate per le quali non è possibile cedere alle sirene populiste.[...]". Il richiamo al populismo risuona come univocamente direzionato verso quelle "forze politiche" che, ad oggi, continuano a promettere di risolvere gli stessi problemi che hanno aggravato loro: spunta un PdL (o PdB) che promette un piano di dismissioni, abbassamento delle tasse e del livello di debito pubblico. Chi ha contribuito ad infiammare l'Italia continua, imperterrito, a dichiarare intenti "ondivaghi", giusto per seguire l'orientamento istantaneo del consenso da intercettare: prima un no all'Europa, poi un forse ed infine un sì condizionato esclusivamente alle "colpe" della Germania. In secondo piano, tornano "all'arrembaggio" voci ed interviste inneggianti all'abolizione dell'Imu ed alla soppressione di Equitalia. Tutto, ovviamente, da realizzarsi alla ricerca della soluzione più facile da vendere: come cercare di migliorare l'esistente cercando di alleggerire le spalle di chi è (quasi o già) alla canna del gas? A quali risorse attingere per colmare l'eventuale gap prodotto dal mancato introito della tassa sull'abitazione? A queste e moltissime altre domande dovrebbe rispondere, con serietà e consapevolezza, una forza capace di definirsi progressista e non populista. Scrivere ulteriormente di certe dichiarazioni (e certi fantocci) è per certi versi peggio che sparare sull'ambulanza (del manicomio). Guardando all'orizzonte del 2013, pertanto, risulta un pò meno difficile destreggiarsi in mezzo a certa melma: su questo fronte, fino a prova contraria, il Pd sembra avere forse un'(altra) occasione chiave da non gettare al vento. Come promuovere una vera alternativa di Governo senza cadere nella trappola dettata da strapotere e squilibrio finanziario? L'intervista fatta al Segretario Bersani sembra muovere qualche (timidissimo) tentativo di circoscrivere l'eventuale rischio di nuove largh(issim)e intese: "[...]Tutto dipende da quelle che succede nelle prossime settimane. L'altro ieri, con la riunione della Bce, c'è stato un passo avanti, ma non risolutivo. Quello che viene fuori è che un Paese, in parte vittima dei suoi problemi, in parte dell'attacco al sistema Euro, per far mettere in moto procedure che lo aiutino [...]deve chiedere l'intervento europeo facendo scattare procedure di supervisione e se nza sapere quali sono le condizioni che questo pone.[...]" In altre parole, stando a quanto dichiarato, in caso di richieste d'aiuto scatterebbe una sorta di "commissariamento incognito": è questa l'unica soluzione (o compromesso) che un'Europa multi(de)forme è stata capace di elaborare? Sulla necessità di fornire "garanzie politiche" da parte di chi dovrà amministrare in futuro cosa è possibile dichiarare? "[...]Ricordo che i Governi di centrosinistra hanno più volte dimostrato di saper affrontare e superare i problemi. Non c'è bisogno di ricorrere ai governissimi.[...]" Stando alle nuove condizioni al contorno ed alle degenerazioni maturate in questi ultimi periodi, sarà ancora possibile dichiarare di poter seguire i propri intenti senza riserva alcuna? La storia recente sembra fornire, purtroppo, risposta negativa alla precedente domanda. Sullo sfondo di dichiarazioni ed intenti, per fortuna o purtroppo, rimangono sigle e bandiere di Partiti "costretti" a doversi alleare per avere la possibilità di governare (dopo l'approvazione di una legge elettorale degna). A quali "voci" ha scelto di parlare il Partito Democratico? L'intento sembra, al momento, quello di delineare un "campo di democratici e progressisti": quali "etichette politiche" sintetizzare sotto questo titolo? Al momento, salvo diverse intese, il quadro contempla Pd accanto a Sel. Dalla cornice è stato "espulso" (forse troppo velocemente) l'Idv, vittima di un'eterna rincorsa all'untore. E' possibile espellere uno schieramento basandosi esclusivamente su (certe) dichiarazioni fatte dal suo leader incapace di minimizzare le distanze tra fasi di protesta e proposta? Costruendo alleanze su base governativa, è possibile richiamarsi alle moltissime esperienze cumulate a livello locale dove il "trittico" Pd-IdV-Sel ha fatto (e sta facendo) ottenere qualche soddisfazione? Quale sembra essere al momento l'orientamento del Pd nel rapporto con l'Idv? "[...]Io credo- avendo mostrato, in tutti questi mesi, assoluto rispetto per l'Idv e Di Pietro ed avendo sentito posizioni inaccettabili [...]-che la scelta di Di Pietro sia inequivocabile. Di fronte al passaggio che abbiamo davanti, cioè govenare una crisi inedita [...], Di Pietro ha scelto il disimpegno e da questa scelta sono derivati dei comportamenti che hanno portato a questa situazione. Nessuno potrà mai dire che è responsabilità del Pd.[...]" Quale sembra essere invece la voce di Di Pietro di fronte a questa scelta, ritenuta inevitabile per colpe unilaterali? "[...]La storia dei nostri ultimi anni dice che siamo un partito di centrosinistra. Infatti [...]noi siamo in linea con i dieci punti del programma di Bersani e del Pd. Il punto è che quei dieci punti sono antitetici a quello che Pd e Udc stanno votando in aula in questi mesi.[...]" Si misura purtroppo su questo il mancato confine intravisto fra protesta e proposta: che ne potrebbe essere ora dell'Italia (e degli italiani) senza le "rassicuranti" misure fatte approvare dal Governo Monti? E' più comodo (e funzionale al consenso) demolire, anzichè cercare di costruire qualcosa. Di Pietro non dovrebbe dimenticare che, proprio dall'Idv, sono "spuntati" come funghi velenosi alcune tra le figure più indecenti degli ultimi anni che hanno contribuito, salvo differenti visioni, a tenere in vita quell'orrore rimasto in piedi fino all'ottobre del 2011: mai scordare i fatti del passato, appunto. Sullo sfondo rimane, comunque, la necessità di oltrepassare la visione del "partito personale", attualmente sicuramente incarnata (non solo!) dall'Idv: l'elettore medio sembra voler infatti superare la visione del leader maximo a cui consegnare lo "scettro del potere". Idv o non Idv? Essendo incerto fra protesta e proposta, la domanda sembra restare attualmente irrisolvibile. Esiste un senso anche nelle parole di Di Pietro? In parte, sicuramente sì: andare "oltre" il Governo Monti può significare (ri)tornare su alcuni discutibili passi promossi ed avvallati in una situazione di emergenza (dichiarata) gravissima? Sarà possibile apporre miglioramenti a qualche provvedimento senza incorrere nella ribellione dei "mercati" e, pertanto, in un nuovo incubo di default finanziario (e quindi sociale)? Su queste domande si gioca larga parte della carta d'intenti siglata ed inaugurata come manifesto da cui ripartire. Su queste domande si gioca anche larghissima parte del "patto" con quelle forze "moderate" che hanno fino ad oggi sostenuto il Governo Monti senza distinguo alcuno: l'UdC primo fra tutti. Quali le parole e quali, quindi, gli intenti conseguenti? "[...] Alle elezioni ciascuno si presenterà con i propri programmi e le proprie liste [...] e la direzione di marcia è quella del Governo Monti, indietro non si torna. Abbiamo sottoscritto gli impegni della Bce, a partire dal fiscal compact e dal pareggio di bilancio, dunque la strada della prossima legislatura è segnata. [...]" Se le condizioni lo permetteranno sarà poi possibile una "convergenza" con il Pd, da siglarsi per il "bene del Paese": quali orizzonti hanno dichiarazioni come queste? Quali confini ha la "disponibilità" dimostrata e sintetizzata dal leader centrista? Appoggiare in toto quanto fatto approvare dal Governo Monti (errori compresi) è un gesto azzardato, sotto moltissimi punti di vista. Quali battaglie intraprendere nel campo dei diritti civili, nel quale certi "moderati" sembrano avere posizioni più estremiste che mai? La sfida sembra essere grande, forse anche troppo per la (mancata) fiducia data al sistema partitico nelle condizioni attuali: l'apertura alla società civile (e coerentemente determinata nel volersi mettere in gioco) sembra, in questo senso, inevitabile. Esiste la possibilità di coinvolgere concretamente "voci" veramente disposte a mettersi in gioco per il bene del Paese, senza dover per forza (e pigrizia?) delegare il tutto a forze partitiche ritenute imbarazzanti? Il campo di "battaglia" sembra essere immenso, sia a livello di intenti che di programmi. Protesta ed indignazione andranno ascoltate, capite e "ragionate" in termini e misure concrete capaci di evitare l'esclusivo beneficio sul breve termine; se così non sarà, probabilmente, il conto non si fermerà alle "cinque stelle" che fino ad ora si sono "manifestate" ai Partiti. Le "etichette" dovranno trovare conferma nei fatti, ovviamente. Ai posteri (ed elettori) l'ardua sentenza.
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