Proletari, ma senza prole

Creato il 13 giugno 2013 da Albertocapece

Anna Lombroso per il Simplicissimus

In Italia le politiche sinora adottate in materia di infanzia e adolescenza sono fallite e nel nostro Paese c’è  una ”scarsa attenzione verso le necessita’ materiali e i diritti” dei minori: il j’accuse è di Vincenzo Spadafora,   Garante per l’infanzia e l’adolescenza, e  contenuto nella Relazione al Parlamento 2013.   In  Italia vivono in situazione di poverta’ relativa 1.822.000 minorenni, il 17,6% dei bambini e degli adolescenti.  Il 7% dei minorenni (723.000) vive in condizioni di povertà assoluta; la quota è del 10,9% nel Mezzogiorno, a fronte del 4,7% nel Centro e nel Nord del Paese.  Il rischio di povertà ed esclusione sociale per i bambini e gli adolescenti che vivono in famiglie con tre o più’ minorenni, che è del 70% al Sud a fronte del 46,5% a livello nazionale; 70 su 100 minorenni che nascono in una famiglia numerosa del Mezzogiorno d’Italia rischiano di essere poveri. Ogni anno il Garante   denuncia l’indifferenza della classe dirigente che “ continua a non comprendere il valore degli investimenti a favore dell’infanzia”, che possono essere un antidoto per uscire dalla crisi e per non compromettere la crescita futura. “Oltre a rispettare i diritti dei bambini e degli adolescenti che vivono in Italia, investire oggi su di loro significa domani avere un numero inferiore di famiglie povere da sostenere, meno sussidi per i disoccupati, meno spese per il disagio sociale, probabilmente meno spese per detenuti, piu’ lavoratori e quindi piu’ contributi per il welfare di domani”.

Ve li ricordate quelli che negavano la recessione, che decantavano i fondamentali sani grazie ai risparmi delle famiglie, alla loro coesione? Gli stessi che come sanguisughe, come vampiri li hanno scardinati quei fondamentali, risucchiando risorse ed energie e rompendo i vincoli più saldi  ed i patti più antichi, creando antagonismi, nutrendo egoismi e alimentando inimicizia. È che il linguaggio politico è più interessato a discutere della famiglia ideale, come si vorrebbe fosse e come è più funzionale al sistema sociale ed economico, attribuendole una “potenza” tale da sopportare il peso di tremende responsabilità “pubbliche”, di cura, assistenza, istruzione, accadimento, fino a farne un’agenzia privata di collocamento, con l’avvicendamento genitori-figli e la trasmissione di garanzie sempre più labili ed effimere.

La famiglia nella narrazione di regime è alternativamente coesa, solidale, oppure egoista e inclusiva, luogo di educazione morale o a-moralmente familistica, dedita alla comunanza e al sostegno, o atomo poco incline a riprodursi come a socializzare. Si è disapprovata la rilevanza delle reti private legate ai rapporti di parentela, così forti da essere interpretate come ostacolo allo sviluppo e alla competitività nazionali, per poi invece promuoverle come sostitute di welfare, supporto e strumento di facilitazione non sempre lecita, ma auspicabile in tempi nei quali la precarietà e l’arbitrarietà nell’applicazione di regole e leggi, spinge a mettere  a frutto relazioni informali e clientelari.

Ma soprattutto è stata impiegata di volta in volta come vessillo, simulacro, riferimento ideologico  racchiuso in formule e stereotipi, per le battaglie più conservatrici e repressive di diritti e libertà individuali e  collettive, dalle restrizioni oscurantiste alla procreazione assistita, ai tentativi, oggi tornati orrendamente di moda, di “ridiscutere”  la 194, dalla indegna contrapposizione tra matrimonio, benedetto dal diritto canonico, e le unioni tra gente che si ama, alle adozioni, fino alla cittadinanza dei figli di immigrati. Salvo dimenticarne valori e capisaldi riconducibili alla morale confessionale cattolica, quando un premier si esibisce in discutibili performance e sperimentazioni erotiche che comprendono la prostituzione minorile.

Non piacciono alla politica, ai poteri   questi atomi sempre più ristretti a un nucleo di una persona sola, come a Roma dove la maggior parte delle famiglie è costituito da una donna sola, o a coppie senza figli, che i figli sono un lusso che non ci si può permettere di questi tempi e è diventata una prova di lungimirante ragionevolezza non riprodursi. Diminuisce l’esercito di indigeni che pagano le tasse, entrano nelle legioni del precariato, consumano i biscotti confezionati da Banderas, guardano Sky. Siamo ormai così poveri che i nostri bambini si distinguono a fatica da quelli cui non concediamo di essere italiani, e cui francamente lo sconsiglieremmo. Siamo ormai così poveri che nelle scuole delle Lombardia, terza regione delle geografie della miseria e della fine del lavoro, dopo Sicilia e Campania, le maestre denunciano che i bambini mangiano solo alla mensa e alla sera solo pane e caffelatte, come ai tempi della sora polenta, come quando eravamo noi a non essere accolti volentieri altrove, come quando non avevamo provato quella polvere di benessere concessa ai molti, dai pochi, gli stessi pochi che non lasciano più a noi proletari la ricchezza di crescere i figli in pace, armonia, amore e libertà


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