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Promenade per Gotham City

Creato il 30 novembre 2000 da Lospaziobianco.it @lospaziobianco

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Questo articolo è una versione riveduta e corretta di un saggio pubblicato originariamente come Promenade a Gotham City. Breve passeggiata nella metropoli più importante dell’immaginario fumettistico contemporaneo, in Cartoon Club (a cura di), Batman: la leggenda, catalogo della mostra eponima, Rimini, Cartoon Club, 1999. Alla versione originaria, oltre a varie piccole correzioni e modifiche, è stata aggiunta l’ultima parte con le considerazioni sulla serie televisiva Gotham e quelle basate sull’opera di Zygmunt Bauman.

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Introduzione

Quasi venticinque anni fa, poco dopo la pubblicazione del ciclo Crisis on Infinite Earths1, apparve in Italia un volumetto dal titolo History of The Dc Universe2, che ultimava e definiva le linee tracciate proprio in Crisis. Dopo la risistemazione di tutto il cosmo DC, che aveva portato gli autori della casa editrice a grandi sommovimenti nell’olimpo supereroico di Superman & Co. con l’eliminazione delle innumerevoli Terre parallele e di alcuni illustri personaggi, questo libro metteva i puntini sulle i del nuovo assetto della mitologia DC. Che poi disordini narrativi e ulteriori mondi alternativi rispuntassero dalle ceneri del tentativo di riordino che Crisis aveva costituito, è storia nota; quello che va però sottolineato è che in History of The DC Universe ci si concentrò su una rielaborazione coerente della cosmogonia DC vista dall’interno e da un punto di vista squisitamente fumettistico, perdendo di vista la ricchezza dei significati che da quel multiverso avrebbero potuto emergere se lo sguardo degli autori si fosse espanso a visuali extra fumettistiche.

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History volle essere un compendio a fumetti teso a riscrivere il continuum DC sulla falsariga del più ordinato Universo Marvel e servì al lettore per capire cosa fosse rimasto alla fine dei fuochi d’artificio di Crisis; non si pose il problema dei risvolti immaginativi, in termini di cultura di massa, che nel corso della sua storia editoriale il polistratificato cosmo a fumetti DC Comics avesse potuto suggerire nel grande pubblico con riguardo alle rappresentazioni sociali del mondo reale; per non parlare degli effetti prodotti dalle mille interazioni mediatiche fra gli scenari DC e l’altra grande fonte da cui sono scaturite molte delle forme dell’immaginario contemporaneo, il cinema di genere. In fondo, l’assenza in Storia dell’Universo DC di tutte queste diramazioni era preventivata; siamo solo di fronte a una piccola enciclopedia illustrata che non è tenuta a soffermarsi su particolari che prevalentemente esulano dallo specifico fumettistico.
Tuttavia si può notare l’assenza di notizie un po’ più approfondite su alcuni luoghi cruciali di quel mondo, sui quali forse si potevano fare dei brevi affondi: ad esempio il misterioso Oa, pianeta d’origine dei Guardiani dell’Universo e del Corpo delle Lanterne Verdi, o le simbologie sottostanti il contrasto fra i pianeti New Genesis e Apokolips o, infine, la coppia oppositiva costituita dalle due più importanti città fittizie della Terra DC: Metropolis e Gotham City.
Gotham è uno scenario che forse più di molti altri avrebbe potuto essere trattato in History. Essa rappresenta, insieme al suo alter ego Metropolis, doppione in positivo, il fulcro del moderno concetto di urbanità secondo il fumetto popolare fantastico statunitense. Gotham è una manna per ogni lettore che voglia scovare in essa riferimenti culturali dei più disparati. Rispetto alla solare Metropolis, nei decenni ridisegnata da vari autori sullo stampo dei lati più solari di New York, Gotham è considerata molto più incisiva. Tracciare una storia delle possibili intersezioni fra le suggestioni della letteratura di massa e i modi in cui Gotham è stata vista dagli autori che se ne siano occupati sarebbe cosa lunga; si possono però delineare, in breve, due percorsi convergenti.
1. Da un lato c’è una serie di opere che, dal tardo Ottocento e nel corso del Novecento, hanno cominciato a trattare l’idea di metropoli, di conglomerato sociale e industriale che ormai poco ha della città di stampo sette-ottocentesco e che vive adesso dell’inscindibile, problematica e inquietante unione fra corpo umano e apparati industriali; opere che, direttamente o meno, hanno influenzato le immagini e le idee di Gotham proposte dagli autori della DC.
2. Dall’altro lato Gotham è visibile come un’entità che, una volta generata, si autoriproduce, si rinnova, si modifica, si migliora e ingenera una colossale attività mitopoietica nei lettori; e lo fa tramite l’opera di autori talentuosi o geniali che operano sui suoi tessuti vitali: quello iconografico, quello narrativo e quello, fondamentale, costituito dal simbiotico rapporto con Batman.

Per un’estetica di Gotham City

Non solo feuilleton anticipatori come I misteri di Parigi (1842) di Eugène Sue3 o i racconti di Edgar Allan Poe maggiormente intrisi delle nascenti atmosfere metropolitane,

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come L’uomo della folla o quelli con protagonista il detective Dupin4, non a caso personaggio fra i referenti letterari di Batman, che nel cosmo DC è il miglior investigatore del mondo, alla pari con Dupin stesso e Sherlock Holmes. Non solo questo tipo di fonti, dunque, le quali se non altro attestano che quello della città moderna è stato, nella letteratura contemporanea, un tema fondamentale, ancorché affrontato spesso in modo inconsapevole. Lo scenario metropolitano industriale e, poi, post industriale, è stato adoperato e progressivamente definito soprattutto da molta narrativa popolare degli anni Trenta e Quaranta: pensiamo ai caricaturali fumetti hard-boiled di Dick Tracy di Chester Gould, a quelli di Radio Patrol di Eddie Sullivan e Charles Schmidt, allo scanzonato e al contempo nero The Spirit di Will Eisner o ai serial radiofonici dedicati ad affascinanti personaggi come The Shadow. Il fatto stesso che, col passare dei decenni, città come Londra, Parigi, New York si espandessero a dismisura, ricoprendosi di chilometrici cablaggi, binari ferroviari, automobili, lampioni elettrici, cabine telefoniche, sale cinematografiche, café, bar, locali notturni, condusse i narratori di genere a modificare le ambientazioni delle loro storie, ed è anche per questo
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motivo che, nei romanzi noir di Dashiel Hammett o di Raymond Chandler5, alla sola riflessione scientifica dell’investigatore — secondo una tradizione narrativa à la Doyle6 — si aggiunse una buona dose d’azione e di violenza, che di regola si consumavano in città e spesso di notte.
Ecco quindi individuati i primi temi fondanti per una piccola estetica di Gotham City: la metropoli, la violenza, l’oscurità. Una buona parte del portato simbolico di Gotham scaturisce inoltre dal suo etimo, anch’esso ambiguo come tante altre valenze della città batmaniana: innanzitutto Gotham è un centro di stampo molto europeo e, nell’immaginaria geografia statunitense della DC Comics, è forse identificabile, se non con Boston o Chicago, almeno nelle sue vicinanze. Una città fredda, aristocratica, elegante, ricca perché popolata da una consistente fascia alto borghese e imprenditoriale ma caratterizzata anche da bassifondi di accentuata povertà e fatiscenza, la cui principale ragion d’essere narrativa parrebbe solo quella di enfatizzare l’opulenza della classe egemone. Cade allora a pennello il doppio senso di Gotham come città che ospita (1) il gotha, il meglio dell’America conservatrice, moralista e wasp e (2) ambientazioni gothic e neogothic, non solo nel senso architettonico del termine ma anche in quello, compresente, riferentesi alle cupe, inquietanti, minacciose atmosfere di cui già tutta una tradizione letteraria ottocentesca era stata impregnata: mi riferisco ad esempio ai capostipiti del genere, Frankenstein (1818) di Mary Shelley, Vampiro (1819) di John-William Polidori, Carmilla (1871) di Joseph Sheridan le Fanu e Dracula (1897) di Bram Stoker7. Fra questi soprattutto da Dracula sembra aver tratto spunti Batman, ma questo è un altro discorso. Anche se questi romanzi non sono ambientati in città moderne, Gotham (la Gotham del dopo Miller e del dopo Burton, in particolare) appare debitrice nei confronti delle ambientazioni parzialmente allucinate descritte in opere come quelle citate sopra: spesso calata nell’oscurità, anche perché è di notte che Batman preferisce agire; misteriosa e impaurente dal punto di vista architettonico, con i suoi tanti grattacieli, per l’appunto, lanciati verso il cielo plumbeo, secondo le più didascaliche nozioni sull’arte gotica medievale, e soprattutto ricolmi di agghiaccianti gargoyle di pietra. Infine, lo straniante gusto retrò delle automobili, dell’abbigliamento, dell’intero arredo urbano: forse il più evidente elemento distintivo della Gotham multimediale, così trasformata al cinema, nell’animazione e nei fumetti.

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Una descrizione dell’oscura e decadente Gotham City tratta da Batman #1 della serie The New 52 (2011), sceneggiata da Scott Snyder e disegnata da Greg Capullo (clic sull’immagine per la visione ingrandita).

Vetrate beardsleyane, preraffaellite o secessioniste adornano le lugubri cattedrali gothamiane, Ford T nere o marroni e Rolls-Royce bianche o grigie popolano le strade, telefoni rigorosamente in bachelite nera poggiano su candidi tavolini Art Déco; ai grandi ricevimenti dell’alta società, avvolte nei loro boa di piume di struzzo, femmes fatales e vamps formano anelli di fumo da sottili e lunghissimi bocchini d’avorio, giornalisti con i loro cappelli di feltro corredati di quadernetti e matita scattano istantanee usando per flash arretrate lampade al magnesio, importanti uomini d’affari in smoking sorseggiano, fra un ghigno e l’altro, il loro champagne di prima qualità. Tutto l’armamentario scenografico degli anni Quaranta americani, sia quello della realtà sia — soprattutto — quello dei film di gangster, prende vita a Gotham City, trascinata come da un vortice spaziotemporale in una dimensione alternativa, in un mondo parallelo dove, anche al di là della momentanea accettazione narrativa di uno squilibrato in calzamaglia e mantello che saltella per i palazzi o sfreccia per le strade con una Bat-mobile, c’è qualcosa che per l’appunto può provocare nel lettore un effetto di straniamento, ovvero la compresenza di un design urbano così ben inquadrato storicamente con i più arditi strumenti fantatecnologici di cui Batman può giovarsi.
In effetti, negli ultimi anni Batman e Gotham City hanno attraversato un periodo di tale successo mediatico e una tale definizione dei rispettivi ruoli e dei mutui rapporti narratologici, che oggi possiamo considerarli, con ancor più sicurezza che negli anni passati, l’uno come l’antropomorfizzazione dell’altra. Questa considerazione mi porta adesso a parlare dell’altro percorso, narrativo e insieme mediatico, sul quale Gotham ha viaggiato e ancora sta viaggiando.

Da Gotham nasce Gotham

Oltre alle fonti d’ispirazione esterne, il mito fanta-metropolitano di Gotham ha trovato alimentazione da sé stesso, dalla sua continuità narrativa e dall’impressionante accumulo di storie e di suggestioni grafiche portate da ottimi disegnatori che, soprattutto dagli anni Settanta a oggi, hanno saputo leggere la realtà contemporanea – per lo meno quella statunitense – per poi trasfigurarla ed esasperarla all’interno della topografia fittizia della Città Oscura.

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La Gotham City immaginata da Frank Miller in Il ritorno del cavaliere oscuro (clic sull’immagine per la visione ingrandita).

Rischio ora, a proposito delle maggiori (re)invenzioni visuali e concettuali di Gotham, di scrivere note non nuove, eppure non credo di poterne fare a meno: è infatti a due eccezionali, visionari talenti registici, l’uno nel campo del fumetto e l’altro in quello cinematografico, che dobbiamo il duraturo stato di grazia letteraria e mediale di cui gode la metropoli di Batman, Frank Miller e Tim Burton. Quest’ultimo, regista dei due lungometraggi8 che, a partire dal 1989, hanno contrassegnato la definitiva consacrazione dell’Uomo Pipistrello quale mito moderno, deriva parte delle sue innovazioni da quelle già introdotte da Miller nel suo The Dark Knight Returns (Il ritorno del Cavaliere Oscuro)9, ma ne enfatizza gli aspetti di vertigine visiva e di “surrealtà” — nelle prospettive, nelle geometrie, nelle luci, nelle stesse procedure di ripresa — mantenendo una sostanziale sobrietà formale. Un’interpretazione visiva che Joel Shumacher, nei due film successivi alla coppia di pellicole burtoniane, ha voluto emulare con tale pedissequità da risultare stucchevole laddove Burton era invece riuscito a simulare una realtà scenografica credibile perché basata proprio sul contrasto di cui si parlava più sopra, fra la tracotanza decorativa della città alta e la rancida miseria della città bassa; tant’è che i concetti di alto e basso, tradizionalmente riferiti in senso topografico, nello scenario gothamiano possono assumere un senso squisitamente altimetrico, designando i luoghi alti — gli ultimi piani dei grattacieli — come dimora dei ceti abbienti, e quelli bassi come ghetto per i diseredati e i reietti, sorta di novelli Morlocks10. Una suddivisione verticale degli spazi che deriva in buona parte, probabilmente, dalle scenografie futuribili del film Metropolis prima e di Blade Runner poi, e alla quale si rifanno anche, in varia misura, kolossal meno eleganti e di quegli stessi anni come Dredd – La legge sono io e Il quinto elemento11.

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Veduta urbana da Dredd – La legge sono io.

La dicotomia alto/basso, molto presente anche nel fumetto di Miller, non è l’unica a interessare Gotham City. Bene/Male, luce/buio, sanità/pazzia, legge/arbitrio, Ordine/Caos sono solo alcune delle più importanti nella sua storia — anche solo di quella recente — e nei personaggi che vi abitano: basti pensare al Joker, copia in qualche modo speculare dello stesso Batman, al commissario Gordon, novello Watson, anch’egli immagine specchiata del Cavaliere Oscuro (e priva delle sue ombre o deformità), o quella di Harvey Dent/Due Facce, quintessenza della totale bipolarità di Gotham e delle persone che in essa ricoprono posizioni nevralgiche.
Tornando a Miller, ciò che forse attrae maggiormente della sua Gotham è la sua ombra incombente nonostante la scarsa presenza visiva: Miller non disegna molte scene in cui la città sia in primo piano e, quando lo fa, traccia Gotham senza troppo caratterizzarla stilisticamente. Questo fatto, se conferma senza dubbio che la Gotham burtoniana è stata per lo più un’invenzione visuale cinematografica moderatamente derivata dal fumetto, non elimina però una realtà: Gotham, nella visione milleriana, è più che mai protagonista, poiché tutta la vicenda si svolge rigorosamente in città (o sopra la città) e, soprattutto, Gotham appare come una metropoli ormai degenerata, in preda agli spasmi, dominata dalle emittenti televisive, dalla violenza per le strade e da una diffusa sfiducia dei suoi abitanti, che sconfina nella disperazione. Probabilmente la Gotham pensata da Miller è la prima città del cosmo DC ad avere una sua precisa personalità, una forte e pronunciata tridimensionalità, uno spessore tale da farla assurgere al ruolo di meta personaggio. Si comprende come Miller, sulla base della sua immagine di Gotham e del concetto di città perduta fiorito nella narrativa hard-boiled, abbia elaborato con il ciclo di Sin City12 un’evoluzione di Gotham stessa, procedendo verso un ancor più accentuato incupimento delle atmosfere, dei toni e delle storie.

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Batman e Joker nel tetro scenario del luna park (da The Killing Joke, Alan Moore, Brian Bolland, John Higgins).

Nella topografia di Gotham e dei suoi dintorni non vanno dimenticati due luoghi di rilevante portata metaforica e anch’essi inquadrabili in una dialettica dicotomica: l’Arkham Asylum (il manicomio criminale cittadino) e la Bat-Caverna. Il primo perché sintesi dei lati peggiori di Gotham, simbolo della perdizione della sua anima e di una dignità stravolta. La seconda in quanto problematico luogo iniziatico dell’Eroe. La Bat-caverna, nel bene e nel male, è il luogo responsabile della nascita del Bat-Man, rappresenta il triplice passaggio dall’infanzia al trauma psichico della morte dei genitori e alla solitaria ricerca di una maturità e di un’infinita azione vendicativa: rispecchia, per molti aspetti, la perdita di purezza da parte di Gotham che, dal clima di presumibile serenità che caratterizzò una possibile, pionieristica età dell’oro, con la contemporaneità ha visto nascere gli spettri della decadenza e del delirio. Gotham è dunque un’ideale fusione dei lati più oscuri e contraddittori di Batman (la Bat-Caverna) e di quelli più disperati e criminali (Arkham).
Se volessimo chiudere con un’ultima annotazione letteraria, potremmo ricondurre la sinistra atmosfera di Gotham e del suo circondario alle nebbie e all’umidità di un New England di memoria lovecraftiana13, con i suoi misteri, i suoi enigmi e il suo caratteristico, stantìo odore di muffa, di terra bagnata e forse anche di sangue rappreso.

Gotham liquida

A questo punto, che speranze può avere Gotham? E soprattutto, che speranze può avere ogni metropoli reale, se diamo per assunto che Gotham sia una trasposizione fantastica della nostra realtà, ormai definitivamente, nei casi più avanzati, post metropolitana?
Desidero segnalare una terna di ottimi autori che da anni parlano diffusamente di Batman e delle problematiche sociologiche e mass mediologiche che si porta addosso (dunque, anche Gotham): Alberto Abruzzese, Sergio Brancato e Gino Frezza14, i quali hanno avuto la lungimiranza di inquadrare, ciascuno a suo modo e con le sue specifiche competenze ma con tagli tutto sommato simili, il fenomeno Batman e i temi legati allo sviluppo delle moderne metropoli.

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Il Batman di Christopher Nolan su sfondo urbano gothamita.

Ad ogni modo, di Gotham qualcosa si può dire, anche se in maniera intuitiva: che la città del fumetto per antonomasia ha ormai definitivamente assunto un ruolo di cartina di tornasole della nostra realtà metropolitana. Se c’è ancora qualcuno che non si è reso conto di quale sia la società in cui viviamo, forse potrebbe dare un’occhiata a qualche fumetto di Miller, o al Batman di Tim Burton, o alla recente trilogia cinematografica di Christopher Nolan: chissà che non si renda conto di come in questi ultimi anni Gotham, pur con le sue inevitabili stilizzazioni e i suoi parossismi, si sia sintonizzata con precisione sulla situazione della civiltà occidentale. E infatti proprio in questo 2014 sono apparsi i trailer e le notizie sulla nuovissima serie televisiva che si concentra sulla città di Gotham non solo come mezzo per decostruire e ricostruire da un’altra prospettiva totalmente contemporanea il mito originario di Batman, ma anche e soprattutto per farsi narrazione critica della Città come il luogo cruciale al cui interno, entro i cui confini, vengono scritti e decisi i destini delle individualità, delle comunità, delle economie, dell’ethos di una società. La serie, prodotta da Bruno Heller per la rete Fox – diramazione televisiva del colosso multinazionale che possiede la DC Comics e quindi il cosmo narrativo di Batman – e in programmazione nel 2014 e 2015, si svolge all’epoca dell’omicidio di Thomas e Martha Wayne, i genitori del piccolo Bruce, e ne è protagonista indiscusso il giovane commissario Jim Gordon, che, insieme al maggiordomo dei Wayne, Alfred, diventa una sorta di padre putativo del giovane orfano. La riscrittura tocca vari generi del passato, il primo dei quali è il noir americano degli anni Quaranta e Cinquanta, ma sono ravvisabili anche atmosfere che possono ricordare il Dick Tracy di Chester Gould; e, com’è naturale e forse giusto che sia, gli stili e le strategie di narrazione cinetelevisiva crude e realistiche che hanno fatto scuola negli ultimi anni, come quelle di serie mature quali The Shield o Breaking Bad, nelle quali viene raccontato il processo di decomposizione della moralità degli individui come logica conseguenza (o come causa?) del disfacimento delle comunità urbane e dell’etica comune.

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Il logo di Gotham, costruito riprendendo lo skyline della città. La serie sarà in programmazione nel 2014 e 2015.

Forse anche il noto sociologo e filosofo della modernità Zygmunt Bauman apprezzerebbe la lettura delle storie di Batman maggiormente incentrate su Gotham. In varie sue opere intorno ai concetti di corpo, sentimenti, modernità e società «liquidi», lo studioso polacco riflette sul paradossale processo prima evolutivo e poi involutivo del ruolo delle città dal Medioevo alla modernità e poi al mondo contemporaneo15: fino a poco prima della trasformazione delle città vecchio stampo in città moderne e poi contemporanee, caratterizzate da flussi intensi e spesso incontrollati di persone e merci (ivi incluse le armi), i centri urbani erano il luogo in cui sentirsi sicuri ed era invece al di fuori della città – dotata o meno di una cinta di mura – che si celavano e manifestavano i pericoli, sia naturali (belve e calamità atmosferiche) sia umani (predoni, assassini ecc.). Ma con l’avvento della società industriale e poi post industriale, il modello della città rinascimentale europea e in particolare italiana – e quando dico modello, intendo in termini sia strutturali sia di esempio da ammirare e riprodurre – è venuto meno, intaccato e poi demolito da dinamiche edilizie, urbanistiche, sociali di progressivo degrado che non si è saputo e spesso non si è voluto disciplinare. Ho l’impressione che Gotham, per come è stata istintivamente dipinta in molti cicli di storie di Batman, ivi incluse le già menzionate narrazioni cinematografiche e televisive degli ultimi anni, sia un perfetto esempio nella cultura popolare per illustrare gli scenari descritti e spiegati da Bauman. Una città fittizia che, come molte città reali, non solo è «liquida» per i suoi flussi sociali, economici e finanziari – sovente forieri di violenza, pericolo, malattie, degrado, corruzione – in entrata, in uscita e al suo interno, ma in qualche modo si sta «liquefacendo» come città in senso moderno e si sta trasformando in qualcosa d’altro. E, probabilmente, noi con essa.


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