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Prometheus, di Ridley Scott (2012)

Creato il 18 settembre 2012 da Psichetechne
Prometheus, di Ridley Scott (2012)

Nell'anno 2094, l'astronave Prometheus arriva, dopo un lungo viaggio, sul pianeta LV-233. A bordo è presente un equipaggio, riunito da un ricco imprenditore, che ha il compito di rintracciare gli "Ingegneri", una specie aliena umanoide, che secondo due archeologi presenti sull'astronave, ha dato origine alla razza umana sulla terra. 
Prometheus, di Ridley Scott (2012)Andrò per punti, per riflessioni sparse, rabdomantiche, per intuizioni. Non è facile accostarsi a un film come Prometheus in modo lineare o analitico. La prima cosa che mi è venuta in mente dopo aver visionato l'ultima fatica del grande Ridley Scott, è che, girando questo film, il regista abbia voluto scrivere una sorta di autobiografia filmica, abbia voluto evidenziare l'importanza della rimemorazione storica, del passato, come a dirci che il passato è presente in questo presente, e sarà ancora presente nel futuro, ehi, non dimenticatelo mai. In ogni caso Scott non vuole dimenticare il suo passato filmico, il suo Sè-filmico genetico, le sue di origini (oltre a quelle dell'umanità), infatti ogni sequenza, ogni inquadratura di questa pellicola, trasuda dello stile narrativo di questo padre della sci-fi contemporanea: uso e descrizione degli spazi, tempi, movimenti di macchina, tutto sembra rimandare ad "Alien" (1979). "Alien è figlio mio", sembra volerci dire Scott, anzi, sembra gridarlo a gran voce lungo tutto il percorso del film, ma sembra volerci anche dire: "io sono il padre del cinema di fantascienza contemporaneo". E su questo ha ragione, siamo del tutto d'accordo con lui. Scott ha infatti "visto cose" che noi umani non osavamo immaginarci, come il mutante di "Blade Runner", prima di spegnersi sotto la pioggia scrosciante, sul tetto di un grattacielo. Ma Scott invece non si spegne, la sua fiamma è ancora accesa e desidera illuminarci di nuove epifanie fantascientiche, di non ancora viste visioni del futuro. Ma allora perché Scott si rivolge a Damon Lindelof per realizzare questo desiderio auto ed etero rigenerativo, che poi regala a tutti noi? Questa è la domanda che dobbiamo porci, la vera chiave per aprire le giuste porte interpretative di questo film, almeno secondo il mio modesto avviso. Sì, perchè Lindelof è uno dei creatori di "Lost", lunga, eterna, labirintica serie televisiva che tutti conosciamo, nonché co-writers di "Cowboys & Aliens" (2011), quindi non proprio vicino ad Asimov in quanto a talento narrativo specificamente fantascientifico. E, soprattutto, molto lontano dai climi claustrofobici e perturbanti di "Alien" (in quel caso lo script era di Dan O'Bannon, decisamente più esperto in fatto di storie spaziali cinematografiche,  non televisive). Continuiamo con le riflessioni sparse. Un altro elemento interessante è decisamente il cast: il volto giovane e fresco di Sigourney Weaver in "Alien", viene qui sostituito da quello di Noomi Rapace, nome al momento molto gettonato, dopo le buone performance di "Uomini che odiano le donne" (2009), di Niels Arden Oplev, e "La ragazza che giocava col fuoco" (2009), di Daniel Alfredson. Ma quali similitudini possiamo effettuare tra il volto terreo della Weaver in Alien, e lo sguardo da giovane fanciulla in fiore proustiana della Rapace, in "Prometheus"? Nessuna. La Rapace, semplicemente, in questo film non possiede il personaggio, non lo fa suo. Sembra un'attrice pirandelliana, che si rifiuta di vestire i panni del suo carattere (vedi Pirandello, "Sei Personaggi in cerca d'Autore", 1921). Zero espressività, zero pathos, che diventa poi grottesca messa in scena nella sequenza dell'operazione chirurgica all'interno della capsula medica robotica. Proprio su questa sequenza vorrei soffermarmi un pò, poichè, se usiamo una metafora spaziale, è un vero "buco nero" del film, un pasticcio tremendo entro cui tutte le buone intenzioni di Scott vengono risucchiate via senza possibilità di recupero. Si tratta di una sequenza-chiave, perbacco, densissima di rimandi simbolici, e Scott la dirige in modo goffo, ultrarapido, spettacoloso, con un occhio al necessario gore che l'intertainment richiede a un film di questo tenore. Il risultato è una serie giustapposta di inquadrature senza spessore e tensione alcuna, alla quale andava dedicato più tempo, togliendone magari ad altre parti, superflue (come ad esempio quelle degli ologrammi umanoidi che corrono per i corridoi della postazione aliena). Sono portato a pensare che Sigourney Weaver si sarebbe rifiutata di girare quella scena, dopo aver letto lo script, dal momento che qui il "femminile" e la sua psicologia sono piegati all'immaginario hollywoodiano, sono davvero "prostituiti", e questo a mio avviso è molto grave, dopo prove mitiche come "Alien", alcuni suoi sequel, e "Blade Runner". Personalmente, una sequenza come quella della capsula medica, da Ridley Scott proprio non me la sarei aspettata. Sempre rispetto al cast, Michael Fassbender, l'androide David, tanto osannato da certa critica positiva, non mi è parso così profondamente pensato, come personaggio. Si perde anche lui nella magniloquenza e nella prosopopea dell'effettistica, come quasi tutti gli altri protagonisti. Sono presentinel film, certamente, momenti di ispirazione visiva altissima, come le prime inquadrature ambientate in Islanda e in Scozia: senso delle panoramiche raffinatissimo, utilizzo di locations evocative di un Altrove che invece non è così lontano da noi, una sequenza iniziale che ci parla subito di trasformazioni psico-fisiche inquietanti. Ma è il raccordo (necessario!) tra sceneggiatura, regia e direzione del cast, poi, a condurre un film in una direzione sinfonica, oppure cacofonica. "Prometheus" non è quella "sinfonia" sci-fi che qualcuno vorrebbe descrivere. E' il tentativo, da parte di uno dei padri del cinema di fantascienza contemporanei, di produrre un'opera che contenga, biograficamente, tutto se stesso, cercando un rilancio di questa insigne biografia verso mete ulteriori. Il tentativo non riesce, perchè si impantana nella palude di uno stile seriale-televisivo lindelofiano, che nulla ha a che vedere con il Cinema. Che cosa evita che quanto detto sin qui, si trasformi in puro disastro? Direi la sedimentazione di un segno estetico che è depositato nell'inconscio dello spettatore: il tocco di Ridley Scott, la sua cifra stilistica, il ricordo dei suoi movimenti di macchina, che ci rimandano continuamente al nostro passato di spettatori. E quel passato è "Alien", con tutta la sua potenza evocativa. "Prometheus" è come l'androide David: è tenuto in vita dalla presenza dello spettatore, dal suo sguardo. Solo nell'inconscio dello spettatore trova un suo senso, un riverbero rimemorativo, una sorta di rispecchiamento narcisistico con la storia e la memoria di chi è seduta sulla sua poltrona, in sala. Forse è proprio per questo che si ha la tentazione di perdonargli le pecche di cui, a mio avviso soffre enormemente. Non credo, tuttavia che questa sua caratteristica di "specularità" sia sufficiente a descriverlo come un film di fantascienza riuscito. Anzi, direi che la sua apertura a vari sequel (è già infatti annunciato "Prometheus 2"), lo appiattiscono ancora di più a prodotto commerciale fra i tanti. "Prometheus": da vedere senza idealizzazioni preconcette, e con una certa tristezza. Regia: Ridley Scott  Soggetto e Sceneggiatura:Jon Spaihts, Damon Lindelof   Fotografia: Dariusz Wolski  Montaggio: Pietro Scalia   Musiche: Marc Streitenfeld   Cast: Michael Fassbender, Noomi Rapace,Charlize Theron, Kate Dickie, Idris Elba, Sean Harris, Rafe Spall, Logan Marshall-Green   Nazione: USA   Produzione: Scott Free Productions, Brabdywine Productions  Durata:  124 min. 

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