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“Promettimi di non morire” di Maria Pace Ottieri e Carol Gaiser

Creato il 14 agosto 2013 da Sulromanzo
Autore: Sara MinerviniMer, 14/08/2013 - 15:30

Promettimi di non morire, Maria Pace Ottieri, Carol GaiserTraboccante di intelligenza, passione e spregiudicatezza, Carolyn Gaiser, giovane borsista fulbright nella Roma dei primi anni Sessanta, si muove con apparente disinvoltura in una formidabile stagione culturale tra Pasolini, Bertolucci, La Capria, Moravia e tutti quegli artisti che si danno convegno tra il Caffè Rosati in Piazza del Popolo e i vari set cinematografici: il futuro assomiglia a un ininterrotto orizzonte di favori e fervori. Ma al suo rientro in patria nessuna premessa ha mantenuto la promessa,  fatto salvo, eccezionalmente, l’amicizia con Silvana Mauri Ottieri, nipote di Valentino Bompiani, testimone discreta e silenziosa dell’editoria italiana di quegli anni.

È un incontro serendipico quello tra queste due giovani donne, avvenuto un giorno a casa di Moravia, una conoscenza formalmente provvisoria e destinata, invece, a fondare un legame intenso, un’ostinata amicizia; a rivelare un’affiliazione nascosta, un’affinità elettiva, capace di superare la lontananza, lo scorrere impietoso degli anni e dell’età, i vuoti, i bui e il destino ingrato, inconcludente, appiattito di Carol al suo rientro a New York.

Carol che voleva vivere la sua vita come un romanzo e riesce solo a procedere a piccoli passi verso la miseria, l’alcolismo, una sequenza dopo l’altra di amori sbagliati; Carol finita ostaggio dell’indigenza e dell’indifferenza, della malattia che la obbliga a centellinare le energie (è affetta da una delle prime forme diagnosticate di Sindrome da Affaticamento Cronico), vivendo a stento dei ricavati di brevi articoli e traduzioni, mentre aumenta il conto dei rifiuti di racconti e poesie inviati a riviste ed editori. A impedirle di lasciarsi andare, a incoraggiarla, a sollevarla in senso sia morale che materiale interviene un inaspettato angelo custode, un’entità salvifica, Silvana Mauri.
Promettimi di non morire (Nottetempo, 2013) ripercorre le tappe di questo intenso attaccamento a partire dall’autentico epistolario di Carol con la Mauri Ottieri, ritrovato dalla figlia Maria Pace dopo la scomparsa della madre; lettere che diventano diario, scritto da Carol in un italiano amalgamato all’inglese, più che in un italiano maccheronico in senso stretto, intimidito, semanticamente differito eppure a suo modo lirico, una specie di lingua franca, codice del rapporto tra le due donne (la comprensione è un momento spirituale più che grammaticale), vocaboli che scoprono relazioni inedite oppure si smarriscono di senso nel loro continuo trasloco da una lingua all’altra.

Ma è un epistolario ellittico che include solo le lettere di Carol a Silvana, colmato diegeticamente dalla narrazione interstiziale della figlia, intervenuta a rimettere insieme con perseveranza le tessere di un mosaico altrimenti frammentario, doveroso e naturale omaggio (omaggio, non agiografia, non sfugga il dettaglio) alla madre. Ma non è il romanzo di Silvana quello che la Ottieri scrive; è soprattutto il romanzo di Carol, ovvero quella poesia a lungo inseguita nella vita e nel lavoro, e mai realizzata. Silvana è, come tutti gli angeli custodi, una presenza in penombra, percepibile ma impalpabile, un’interlocutrice muta ma attenta, che non ha bisogno d’altro: le sue ali battono senza far rumore. In questo senso, questo libro è un’eredità, l’adempimento di una promessa e di un dono, quell’ultimo dono che Silvana avrebbe voluto offrire a Carol, se la morte non se la fosse portata via prima.

Significativa la costruzione narrativa con sbalzi di rifrangenze e riflessioni tra tempi e vicende sempre inestricabilmente incatenati, con le figure di contorno (la madre di Carol, gli amanti, i vicini di casa) a tracciare, per contrasto, architetture e diagrammi costantemente circolari, spirali di una società dominata da apatie, passività, torpide freddezze, specchi lucidi e spietati di una città con troppe anime e senza cuore.

Promettimi di non morirerefrain ripetuto da Carol quasi ossessivamente nelle sue lettere all’amica – è una storia vera, ma non una biografia; una grande metafora, l’amicizia come forza sublime, come facoltà intramontabile di superare insieme inquietudini, amarezze, restituendo valore e dignità ai legami umani oltre l’apparenza. Ma è soprattutto la metafora di un talento, anzi due: quello di Silvana, una grande donna e una grande amica, fidata, sempre presente (la geografia dei sentimenti non conosce distanze), sempre costante; e quello di Carol che testimonia che, in fondo, tutti abbiamo bisogno di angeli custodi in questo nostro tempo equivoco, quando ci sembra che «tutti gli angeli sono morti/ Sono caduti nell’ultima esplosione/ Quella che ha ucciso le stelle».
 

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