Steve , agente della Global , società da 9 miliardi di dollari nel campo delle risorse minerarie,assieme a una collega si sta assicurando per la sua ditta i diritti di sfruttamento delle risorse di gas naturali , convincendo con un lavoro porta a porta gli abitanti di una piccola città. Promette un sacco di soldi e tace sui possibili effetti collaterali sulle falde acquifere dell'estrazione di gas. Si mette contro di lui un vecchio professore universitario in pensione che vuole indire un referendum tra gli abitanti che Steve sta cercando faticosamente di convincere e arriva anche un ambientalista, Dustin, che snocciola prove su prove dei danni che provoca il lavoro della Global.
In paese la situazione si fa pesante per Steve , si va verso la votazione ma ...colpo di scena!( che naturalmente non svelerò).
Gus Van Sant è (stato) uno dei registi dal linguaggio più innovativo del reame hollywoodiano. Oggi forse ha perso questa carica di novità in almeno in questo film ( che comunque è un'opera su commissione del suo amico Matt Damon che doveva esordire alla regia con questa pellicola da lui anche cosceneggiata assieme al coprotagonista John Krasinski) a favore di un classicismo conclamato, con una macchina da presa che segue quasi immobile i placidi ritmi della profonda provincia americana e ritrae un'umanità anacronistica, quasi fuori del mondo, un paesino nella campagna della Pennsylvania che è una sorta di contenitore a tenuta stagna praticamente impermeabile agli influssi esterni in cui le emozioni massime sono le sbornie e il karaoke che si tengono al locale bar.
Promised Land è una perfetta simulazione di film anni '70 che però abbandona il fervore democrat delle istanze collettive del cinema di quegli anni in favore di un discorso se possibile più profondo eppure anche più ambiguo.
Si parla di un Sogno Americano con l'odore nauseabondo del gas naturale che ha permeato le sue radici incancrenite , di un possibile progresso che ha un costo alto in termini di rischio ecologico ma a cui non sembra importare a nessuno ma Van Sant invece di buttarsi a capofitto nel pamphlet politico sceglie di mantenere le distanze ( simboleggiate anche sa tutte quelle panoramiche dall'alto e l'utilizzo abbondante di campi lunghissimi) concentrandosi sulla crisi personale di Steve, alle prese coi propri fantasmi e con il conto che la coscienza gli presenta ogni fottutissimo giorno, ogni volta che fa firmare quei contratti capestro che promettono mari e monti ma che in realtà arricchiranno solo la Global.
E poi c'è l'ambientalismo, vero o finto che sia, che fa presa sulle coscienze , che cerca di risvegliarle dal torpore dato dal dio dollaro con tutte le sue nobili istanze e le sue lotte idealiste.
L'ambiguità di fondo sta proprio in questo: Steve che porta in questo paesino il verbo del gas naturale sottacendone i rischi si fa molti più scrupoli rispetto a un personaggio come quello di Dustin, ambientalista apparso dal nulla come un cavaliere senza macchia e senza paura ma che, pur di ottenere il suo scopo, non esita a utilizzare mezzi scorretti e provocazioni.
E questa ambiguità è ben radicata nel film almeno fino al twist di sceneggiatura che rimette tutto in gioco e che incanala verso un finale in cui la maturazione del personaggio di Steve viene spiegata col solito pistolotto hollywoodiano( con annessa deriva sentimentale rimasta sospesa a mezz'aria per tutto il film) che cerca di blandire tutte le anime nobili scosse da tutta questa botta di scorrettezza politica.
Perchè non mantenere fino in fondo l'ambiguità di un personaggio come quello di Steve, una volta risolte le contraddizioni apparenti di tutti gli altri personaggi in campo?
Ecco il finale è forse la parte meno efficace di un film che comunque ha una sua armonia, probabilmente il buonismo dilagante ha fatto contrarre dal dolore anche le budella di Van Sant mentre lo stava girando.
Ma qui siamo a Hollywood, bellezza!
( VOTO : 7 / 10 )
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