Pronti, partenza, via! Elementi di Psicologia dello Sport (2 parte)

Da Psychomer
by Paola Sacchettino on settembre 12, 2012

Se tu guardassi, seduto in mezzo agli spettatori, le prodezze di quegli uomini, la bellezza dei corpi, la robustezza mirabile, le prove straordinarie, la forza imbattibile, il coraggio, l’emulazione, lo spirito indomabile, l’impegno inesauribile profuso per la vittoria, non cesseresti di lodare, di acclamare, di applaudire”
 (Luciano, II secolo d.C.)

Gli ambiti all’interno dei quali si attuano interventi di psicologia dello sport sono:

Il linguaggio: la base di tutto l’intervento psicologico è il linguaggio. Nel suo utilizzo quotidiano non ci rendiamo conto dell’uso che facciamo delle parole, del loro peso, del significato che con queste creiamo. Ancora più forte risulta il linguaggio usato dallo sportivo nel suo dialogo interno; i messaggi che questi manda a se stesso sono fondamentali per la  riuscita della sua prestazione. La mente ha una grande abilità che può risultare un forte limite: quella di orientarsi, spesso in modo inconsapevole, in funzione dei propri pensieri. Dinnanzi ad uno stesso stimolo è possibile reagire in modo positivo (ottimistico) o negativo (pessimistico), a seconda di come sono interpretati i fatti. E’ dunque essenziale insegnare ad utilizzare una sorta di “dieta mentale” in cui nutrirsi di parole orientate all’obiettivo che si intende raggiungere, che diano la giusta carica e permettano di essere ottimisti, convinti e determinati verso le proprie risorse. Il nostro vocabolario presenta una netta preponderanza di parole a connotazione negativa nella descrizione delle emozioni. Eliminare i termini negativi, sostituendoli con altri volti al positivo (ad es. “non ci riesco” vs “mi riesce difficile”) è assolutamente vincente.

Le abilità mentali: nel lavoro psicologico con l’atleta si andranno a sviluppare abilità mentali specifiche; requisito essenziale a questo scopo è la conoscenza di sé che lo sportivo (e la persona in genere) deve possedere per arrivare a considerare i suoi punti di forza e quelli di debolezza (identificate come aree di miglioramento) per il raggiungimento di un completo sviluppo personale.

Tra le abilità mentali più significative si possono annotare: l’abilità di immaginazione, di gestione dell’energia mentale (capacità di adeguata attivazione e disattivazione), la flessibilità e l’adattamento, la gestione dello stress, le abilità attentiva e di concentrazione.

La storia: un agonista (a qualunque livello appartenga) ha bisogno di pensare, sognare e costruire la propria storia. Se non si immagina nel futuro, se non si lascia condurre dai propri sogni e non si sente protagonista della propria realtà, presto abbandonerà l’idea della vittoria ed i propri ideali. Un buon allenamento è quello di trovare spazi entro i quali lo sportivo, rappresentando mentalmente ed emotivamente se stesso e le proprie performances, è in grado di realizzarsi.

Il sistema: un utile modo di considerare la persona è quello di vederla proiettata all’interno del proprio sistema di riferimento, prendendo in considerazione il contesto e l’ambiente sociale in cui vive: famiglia d’origine, lavoro, amicizie, situazione affettiva e rapporto con se stessa, per valutare quale ruolo gioca, come si trova inserita, quali risposte sta dando, come reagisce alle richieste implicite od esplicite delle persone con le quali si rapporta.

E’ sorprendente come molte risposte ad eventuali difficoltà o volte alla realizzazione di certi progetti, vadano ricercate nella famiglia e nel sistema di riferimento, piuttosto che nel singolo individuo. Rispettare questa strutturazione dell’atleta è lavorare in maniera ecologica per lui.

Il tempo: il senso del tempo con il quale continuamente si trova a misurarsi è l’elemento costitutivo della vita di chi pratica attività agonistica o sportiva in genere; è quindi utile metterlo nelle condizioni di gestirlo e programmarlo con la massima efficacia: mi riferisco sia al tempo impiegato nelle varie attività durante la giornata (compreso quello utilizzato a pensare alla propria attività sportiva), sia al tempo di allenamento e quello di gara; molto spesso quest’ultimo è il maggior responsabile dell’insorgere di ansia da prestazione.

La motivazione: costituisce la chiave d’accesso ai risultati e si esplicita attraverso i bisogni dell’atleta, gli stimoli positivi, l’interesse ed il divertimento, la ricerca di affiliazione verso l’allenatore ed i compagni, il bisogno di affermazione e di riuscita, l’essere riconosciuto.

L’ambito motivazionale è strettamente legato ai ritmi di crescita, allo sviluppo ed al consolidamento delle abilità acquisite durante lo sviluppo ed attraverso i modelli parentali, culturali e sociali.

La motivazione può essere definita come la prefigurazione della soddisfazione che si può ottenere compiendo una determinata azione. Essere motivati significa, quindi, operare in un contesto all’interno del quale siano soddisfatti i bisogni di riconoscimento, sia vivo il senso di appartenenza, si realizzino i propri valori e si rinforzi la propria autostima.

Le profezie: in un lavoro di programmazione orientato dagli obiettivi da raggiungere ed impegnato nella progettazione di se stesso,  sono molti i momenti che si possono dedicare ad anticipare ciò che succederà nell’immediato futuro; è dunque utile aiutare l’atleta a costruirsi delle “profezie” vincenti e dare così spazio ad idee e pensieri rivolti al futuro, nel modo in cui desidera vederlo realizzato. E’ dunque fondamentale farlo lavorare sulle aspettative e sul modo di affrontare le conseguenze della propria attività, prefiggendosi nei dettagli ciò che desidera raggiungere.

Il rituale: L’atleta ed il giocatore hanno essenzialmente bisogno di costruirsi uno stato mentale (un preciso equilibrio psicofisico di pensieri e sensazioni) che permetta loro durante tutta la prestazione, di avere la massima concentrazione, determinazione e prontezza di esecuzione: uno stato di fusione con la prestazione in cui tutto attorno è in perfetta sincronia, dove il tempo ha un’altra dimensione, dove il controllo è totale ed è possibile sviluppare “le doti dell’essere”; non più un individui capaci di eseguire e sviluppare l’azione, ma in grado di trasformarsi nell’azione stessa.

“Io sono la corsa!” dice il maratoneta, dove l’identità dell’atleta si confonde con il gesto atletico. Questo è un momento “magico”, il momento in cui si cambia la percezione del soggetto che sviluppa l’azione. Solo nell’istante in cui l’arciere si sente un tutt’uno col proprio arco ed è in completa armonia con se stesso, può percepire quando scoccare la freccia, sicuro che questa raggiungerà il bersaglio. Egli non scocca la freccia, ma è la freccia stessa.

Il rituale è una pratica fondamentale e personale attraverso cui l’atleta, dando un significato preciso alle sue azioni (riscaldamento, ripetizione del gesto atletico, ricognizione del campo di gara etc.), arriva ad essere in grado di creare quel giusto clima attorno a sé, che lo rende in grado di accedere a tutte le sue risorse interiori in modo sinergico, favorendo la giusta sincronia d’attivazione tra il proprio corpo e la propria mente: taluni gesti “scaramantici” fanno sì che lo sportivo si attivi in modo da vivere positivamente il momento della gara o del torneo.

Continua…


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