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Proposta di legge che introduce l’ergastolo per “femminicidio”

Da Marypinagiuliaalessiafabiana

L’anno scorso in Argentina è stata approvata una legge che introduce il neologismo di “femminicidio” come aggravante punita con l’ergastolo. In questi giorni, le parlamentari di Fli e Pdl propongono di introdurre le aggravanti quando una persona viene uccisa in base al genere di appartenenza. Nel nostro Paese, quest’anno, sono state uccise più di 110 donne; ogni due giorni una donna muore tra le mura domestiche o nelle relazioni sentimentali con l’altro sesso.

La famiglia è diventata il luogo più pericoloso per le donne italiane e la violenza domestica è in crescita. Tutto ciò dipende da una reazione maschile ad mutamento sociale del ruolo delle donne. Questo avviene tanto quanto le donne rivendicano autonomia. Infatti, 1 femminicidio su 2 avviene quando una donna decide di separarsi da un uomo spesso violento. Ma le cause che contribuiscono al femminicidio non risiedono solo nella non accettazione dell’autonomia femminile, ma anche dalla carenza di fattori sociali che aiutano le donne a sottrarsi da relazioni violente: dipendenza economica dal marito, chiusura di centri antiviolenza, leggi non applicate, ideologie maschiliste e sopratutto mancanza di programmi di prevenzione del fenomeno.

Per questo non ritengo sufficiente applicare l’ergastolo senza alcuna volontà di favorire la cultura del rispetto di genere. Favorire programmi di socializzazione di genere sarebbe anche un impegno meno costoso rispetto ai costi carcerari che lo Stato deve affrontare per detenere i violenti e rispetto ai costi sanitari che lo Stato deve affrontare per curare le donne vittime di violenza. Incoraggiando una cultura di rispetto di genere, diminuirebbe anche il numero di donne che sono costrette all’ospedalizzazione, quindi meno costi sanitari. Ricapitolando: meno costi carcerari perché ridurrebbe il numero di uomini violenti e meno costi sanitari perché scenderebbe il numero di donne picchiate e violentate. Ma anche una crescita dell’occupazione femminile con conseguente crescita del Pil, fondamentale per lo sviluppo del Paese e per l’uscita dalla crisi economica.

Evidentemente il problema che impediscono la realizzazione di questo approccio- che tra l’altro è stato chiesto dall’UE e dalla convenzione di Istanbul- non sono i costi ma sarebbero da individuare nella cultura italiana che teme la messa in discussione di alcune credenze sull’aggressività maschile, per paura di destabilizzare il dominio patriarcale; impedisce alle donne di emanciparsi preferendole nel ruolo di vittime deboli da tutelare. Pare più comodo mantenere le donne in un posizione subalterna e continuare ad impedirne l’autodeterminazione piuttosto che favorire lo sviluppo sociale.



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